CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XII legislatura

Seduta solenne del Consiglio regionale per celebrare Sa die de sa Sardigna


Cagliari, 27 aprile 2001 - Il Consiglio regionale si è riunito, in seduta solenne, per celebrare la giornata di Sa die de sa Sardigna.

Il presidente Efisio Serrenti, a nome dell'intera Assemblea, ha brevemente ricordato l'importanza della ricorrenza con il seguente intervento:

Colleghe, colleghi, signore, signori

sa die de sa Sardigna, la prima del terzo millennio, che oggi solennemente celebriamo, nella sede della Assemblea legislativa della Sardegna, é una straordinaria occasione per riflettere su un evento entrato a far parte, profondamente, della coscienza collettiva del popolo sardo.

Il ricordo del 28 aprile 1794 si sta trasformando, velocemente, nella Festa nazionale dei Sardi e quei fatti stanno acquistando nuovo ed incisivo ruolo, anche lontano dalla nostra terra

La "cacciata dei Piemontesi", sino a non molti anni fa persino ignorata dalla storiografia ufficiale, ha ormai un grande valore simbolico, tanto che molti storici collegano quei lontani fatti cagliaritani persino alla Rivoluzione francese.

La consapevolezza del valore storico, ma anche politico, di quell'episodio deve consigliarci un diverso modo di considerare le radici della nostra identità.

Per troppo tempo la storia della Sardegna, tutta la storia della Sardegna, é stata considerata  un "evento marginale" e le vicende della nostra Isola quasi estranee al processo storico occidentale.

Pregiudizi antistorici che hanno permesso di ignorare o di esprimere giudizi negativi sulle reali vicende della Sardegna, che ha avuto, invece, un ruolo di grande rilievo nei principali eventi storici dell'Occidente: basti ricordare il periodo giudicale; l'autonomia politica degli stamenti nel periodo spagnolo; il rilevante impulso che proprio la Sardegna ha dato alla formazione del Regno d'Italia.

I sardi, le migliori intelligenze sarde, sono sempre stati presenti ed hanno avuto parte attiva negli eventi che hanno, profondamente, cambiato il mondo moderno; sia partecipando alle rivoluzioni, sia operando per dare vita a nuove, più moderne, istituzioni.

Una presenza costante, attiva, spesso ignorata o trascurata, che la storiografia più attenta sta ora attentamente rivalutando.

La sfida alla quale ora è chiamata la classe politica sarda è quella di riappropriarsi delle radici profonde della nostra cultura. Sa die è il simbolo di un popolo che, con uno scatto d'orgoglio, ha tentato di rovesciare un gruppo di potere che l'opprimeva, ha cercato di ridiventare artefice del proprio destino.

Quell'episodio fornisce una lezione esemplare, la riprova che senza l'unita del popolo sardo è impossibile qualunque progetto di rinascita, qualunque riforma profonda della nostra realtà.

La speranza di riscatto, come ha, in troppe occasioni, mostrato chiaramente la storia della Sardegna, si infrange sul muro della disunione, dell'invidia, della chiusura in noi stessi, dello sterile arroccamento, che impedisce di costruire il nuovo e di imporlo, anche oltre i confini della nostra terra.

Eppure, quando il nostro popolo ha ritrovato la sua unità, la Sardegna ha partecipato, da protagonista, alle vicende che hanno caratterizzato la storia dell'Occidente.

La lunga vita della nostra isola è caratterizzata anche da lunghe oppressioni, da dominazioni straniere, da operazioni di sottile asservimento culturale; la nostra identità, in troppe occasioni, è stata ferita e dileggiata, svenduta sull'altare delle rappresentazioni folkloristiche, considerata come un prodotto perdente e marginale, destinata a scomparire.

Quella storia, quella scarsa considerazione per le nostre tradizioni, pesa ed ancora ci condiziona; ma rappresenta un monito, una preziosa occasione per riflettere e per agire.

Un popolo evoluto deve trarre lezione dal suo passato, deve cercare di costruire una storia diversa, deve pensare "in grande" il proprio ruolo, la sua nuova e diversa autonomia.

Sa die rappresenta questa occasione di autocritica, ma anche di speranza.

La Festa nazionale del popolo sardo  deve esaltare la volontà della Sardegna di essere padrona del proprio destino.

Sa die deve significare, quindi, che non siamo più disposti a rassegnarci; l'abbandono della subalternità, vera o presunta; l'avvio di una incessante azione unitaria, per riaffermare gli interessi prioritari della nostra gente; la volontà di decidere, in piena autonomia, il nostro futuro.

Non dobbiamo più sentirci una Nazione mancata; siamo una Nazione alla ricerca di una forte identità collettiva. Una realtà nazionalitaria, che non sa sviluppare questi sentimenti e non sa esprimere questi valori, è incapace di cogliere i grandi momenti della propria storia e non è in grado di progettare il proprio futuro.

La sfida dei tempi nuovi, che a volte la politica non è stata in grado di interpretare, è anche quella di condividere idee guida e programmi, di avere sentimenti e simbologia comuni, che ci fanno sentire popolo, a prescindere dalle inevitabili divisioni.

Occorre, però, evitare pericolosi equivoci. E' importante, anzi indispensabile, costruire una grande identità collettiva, sentire il valore profondo dell'autonomia, aspirare ad una reale autodeterminazione, come metodo per superare l'isolamento ed il sentimento di subalternità. Ma questo significa che si debbono abbandonare concezioni e disegni velleitari ed anacronistici.

Significa che il nuovo sardismo deve, oggi, non solo abbandonare gli sterili progetti separatistici, ma anche superare le rivendicazioni localistiche, gli atteggiamenti di chiusura.

Non siamo e non dobbiamo sentirci una cittadella assediata dal progresso e dalla modernità. Siamo un popolo che sa da dove viene, ma sa anche dove vuole andare. Senza la coscienza di una forte identità, qualunque popolo è fatalmente destinato all'omologazione.

La Sardegna, a distanza di due secoli dal 1794 cagliaritano, ha il compito di attualizzare la lezione della propria storia. Uno sguardo unicamente proiettato al passato rappresenta una visione perdente, riproduce i pericoli dell'isolamento, in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso.

Il compito della politica è quello di ripensare al ruolo della Sardegna nel mondo. Resistere all'oppressione, ai colonialismi, alle espropriazioni culturali deve diventare occasione per rinsaldare il senso della identità, nell'ottica dell'apertura e del confronto con le altre culture.

E' tempo di identità multiple, di contaminazioni, di comunicazione globale. Una visione tradizionale dell'identità è incapace di connotarci come popolo e rischia di aggravare il senso della subalternità.

Sa Die rappresenta perciò una preziosa occasione di confronto proprio nel tempo in cui rinascono in tutto il mondo le piccole patrie. La storia dell'autonomismo europeo è sotto questi profili davvero esemplare. Recuperare e valorizzare l'identità del nostro popolo significa collocarsi in quel composito movimento autonomistico che guarda alla Catalogna, ai Paesi Baschi, al Galles, alla Scozia, all'Irlanda, alle regioni transfrontaliere, al Mezzogiorno d'Europa, alle isole del Mediterraneo.

L'Europa è un laboratorio politico in cui si favorisce la valorizzazione delle minoranze etniche, linguistiche e culturali, destinate a ricoprire ruoli di primo piano nelle politiche comunitarie. E la Sardegna, se vuole contare, deve attrezzarsi per valorizzare la propria identità, in quella che sarà sempre di più connotata come l'Europa delle regioni e dei popoli.

La Sardegna non può accontentarsi di pseudo-riforme, come quella prodotta negli ambienti parlamentari italiani. La nostra Regione aspira a ritrovare l'unità, per ricontrattare a tutto campo, con l'Italia e con l'Europa, una dimensione autonomistica moderna, per affrontare con determinazione le sfide del futuro.

Abbiamo mancato alcuni grandi appuntamenti con la storia. E' tempo di stabilire se la Sardegna è capace di essere protagonista, nel nuovo tempo della politica.

La grande lezione del 28 aprile è stata quella di avvertire che una volontà collettiva, nel segno dell'unità del popolo sardo, è capace di rovesciare qualunque regime che non rispetti i nostri diritti. E' con questo augurio che mi piace pensare ad una Sardegna che traduca Sa Die in azione politica concreta, quotidiana, in un messaggio di speranza, capace di garantire finalmente a tutti i sardi un futuro di dignità e di orgoglio, questo sì, nazionale.


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