CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XII legislatura

Messaggio del Presidente del Consiglio regionale, Efisio Serrenti, al convegno su "Regione ed autonomie locali a confronto - Dal decentramento al federalismo"


Cagliari, 7 aprile 2001 - Il presidente del Consiglio regionale, Efisio Serrenti, per imprevisti, inderogabili, impegni non ha potuto essere presenta al convegno su "Regione e Autonomie locali a confronto. Dal decentramento al Federalismo" che si è svolto a Cagliari, nella sala Figari della Fiera campionaria della Sardegna. Il presidente dell'Assemblea regionale ha, comunque, fatto pervenire all'assessore Italo Masala il testo del suo intervento, che è stato letto nel corso dei lavori.

Trasmettiamo, quindi, l'intervento del presidente Serrenti:

Nel ringraziare l'onorevole Masala per l'invito rivoltomi, non posso fare a meno di sottolineare l'importanza che assume questo incontro. Viviamo in una fase di delicata transizione politica caratterizzata da una grande tensione riformistica, in cui è evidente che i vecchi assetti politici ed istituzionali sono ormai obsoleti rispetto agli attuali mutamenti storici. E' perciò di estrema importanza confrontarsi su temi caldi come quelli proposti in questo convegno.

Sui temi del rapporto Regione/enti locali, la riforma federalista, il presidenzialismo, mi limiterò ad alcune considerazioni di natura generale.

Questo è un tempo di straordinari cambiamenti, caratterizzato dalle logiche di una globalizzazione che rischia di spazzare via le identità minori, i piccoli popoli, le regioni deboli. La politica, riguardo a questi temi, è in ritardo, continua a prevalere una concezione statalistica nelle ipotesi delle riforme istituzionali.

Scontiamo decenni di immobilismo politico, ragioniamo ancora nei termini delle regole di uno Statuto nato probabilmente già inadeguato, fatichiamo ad adattare il pensiero e la prassi politica alle nuove complessità.

Un esempio lampante del ritardo della politica e delle istituzioni su questi temi è dato dai recenti sviluppi del processo riformistico italiano, caratterizzato soprattutto dall'assenza di spirito costituente. Non credo di sbagliare se affermo che le riforme costituzionali, decise recentemente dal Parlamento si sono rivelate insoddisfacenti e persino pericolose.

La riforma del titolo V della Costituzione, che solo con una buona dose di approssimazione potrebbe essere chiamata "federalista", solleva ampi motivi di perplessità. Nasce su un impianto sostanzialmente centralistico, propone e millanta una riforma federale a statalismo invariato, prospetta un disegno i cui alcuni cardini fondamentali - riforma della Corte Costituzionale, Camera delle regioni, federalismo fiscale - non trovano alcuno spazio.

Si ha l'impressione che al di là delle roboanti dichiarazioni elettoralistiche, il modello cui questa riforma si ispira sia più semplicemente il nuovo decentramento amministrativo disegnato dalle riforme Bassanini, che certamente hanno prodotto alcuni risultati condivisibili, ma che risultano totalmente inadeguate rispetto alla nostra vocazione federalista.

Una simile prospettiva non può che lasciarci insoddisfatti, tanto più se pensiamo ai suoi profili applicativi in una realtà peculiare come la Sardegna. La nostra concezione federalista nasce dalla constatazione che siamo un popolo con una storia millenaria, caratterizzato da una condizione geopolitica insulare, con un patrimonio linguistico, culturale e tradizionale ancora radicatissimo. Governare i processi di valorizzazione della nostra identità complessiva significa, perciò prefigurare scenari istituzionali assai più avanzati di quelli pensati in Parlamento. Significa essere capaci di proporre modelli istituzionali più avanzati capaci di interpretare la nostra specialità.

Affermo con decisione che, per quanto riguarda la Sardegna, i processi di riforma dovrebbero essere tendenzialmente slegati dai destini nazionali. Più precisamente, che si completi l'attuale pseudo-riforma federalista o che questa si areni nelle paludi di un nuovo decentramento amministrativo, va chiarito che la riforma del nostro Statuto speciale deve in ogni caso prefigurare per la Sardegna uno status di sovranità. Non possiamo pensare che le sorti del nostro Statuto sano legate necessariamente a quelle delle altre realtà speciali. Noi dobbiamo difendere e valorizzare la nostra  specialità sotto qualunque regime e a prescindere dagli eventuali limitati orizzonti rivendicati da altre Regioni.

La nostra sopravvivenza è legata perciò anche a quegli strumenti istituzionali che ci permettano di contare davvero in Europa e di rappresentarci come popolo. La nostra unica alternativa è allora di conquistare potei e competenze che ci rendano protagonisti attivi delle politiche comunitarie.

Ecco perché sono ormai maturi i tempi di una grande riforma costituente. I temi e gli obiettivi di questa riforma sono molteplici. Tuttavia, poiché ormai le Regioni possono, ad esempio, determinare aspetti fondamentali come la forma di governo e la legge elettorale, è tempo di impegnarsi nella modifica di uno Statuto come il nostro che impone la logica del proporzionale. Pur essendo personalmente a favore di una soluzione sostanzialmente proporzionalistica, devo, infatti, sottolineare come l'attuale sistema non garantisca né la stabilità né la governabilità.

Quanto al federalismo, di cui troppi parlano a sproposito, è ormai tempo che siano le realtà regionali a farsi carico di dare impulso a questo processo di riforma. I mutamenti economici, politici, sociali e tecnologici su scala planetaria hanno, infatti, ripercussioni immediate anche sugli attuali assetti istituzionali. In particolare, non credo di esagerare se sostengo che il ruolo degli Stati nazionali è, di fatto, esautorato da livelli istituzionali sopranazionali. La vecchia logica bipolare Stato/Regione è, infatti, ormai ampiamente superata dal ruolo preponderante che sta assumendo la dimensione comunitaria anche nella regolazione minuta di tutti i settori fondamentali per lo sviluppo locale.

Si tratta di un ruolo a tratti persino invasivo, che in ogni caso sta ormai sgretolando persino la vecchia concezione del riparto statico di competenze tra Stato e Regione. In questo senso, qualunque ipotesi di riforma dello Statuto non può prescindere da questa nuova realtà irreversibile. Perciò non bastano alcuni ritocchi di facciata, ma serve una riforma profonda che incida sugli stessi meccanismi della rappresentatività e soggettività regionale anche in ambiti, come quello della small diplomacy, tradizionalmente negato alle Regioni.Si tratta di considerare attentamente il trend in cui è chiaro che si ha forte sviluppo economico in presenza di realtà locali forti e in grado di esercitare importanti poteri.

Il sistema dei rapporti Stati/Regioni/Comunità europea sta ormai indirizzandosi verso modelli costituzionali di ispirazione federale. Questa logica deve essere ovviamente estesa anche al sistema dei rapporti Regione/Enti locali. Su questo aspetto mi pare importante sottolineare che la Regione, pur avendo la competenza a delegare funzioni amministrative agli Enti locali, di fatto ha scarsamente applicato questo fondamentale principio.

Una seria riforma statutaria dovrà chiarire che la Regione non deve più esercitare funzioni amministrative, ma deve recuperare e valorizzare al massimo livello il compito di progettare, legiferare, coordinare, programmare, controllare e, più in generale, deve pensare ad una politica di alto profilo per costruire davvero la nuova società sarda. In questo senso, ritengo essenziale che nel processo di revisione costituzionale in senso federale sia definitivamente chiarita la collocazione ordinamentale degli Enti locali, ai quali sarà sempre più affidato un compito di fondamentale importanza.

Naturalmente, il complessivo riconoscimento del ruolo centrale degli Enti locali deve essere affrontato in rapporto al nuovo ordinamento dell'esecutivo. Su questo punto occorre essere molto chiari: l'attuale moda del presidenzialismo, pensata per garantire stabilità ed efficienza. Si è rivelata una soluzione potenzialmente pericolosa. La stabilità, in un sistema che si riconosce nei principi della democrazia rappresentativa, è realmente garantita solo se esiste equilibrio tra esecutivo ed assemblea. La nuova riforma costituzionale su questo punto ha prodotto seri problemi, in quanto le assemblee rappresentative, titolari della sovranità popolare, sono di fatto esautorate rispetto a poteri e funzioni sostanziali.

Il nuovo modello dei Governatori ha creato sbilanciamenti preoccupanti, sacrificando i Consigli rispetto all'obiettivo dell'efficienza governativa. Non vogliamo, su scala maggiore, la riproposizione della figura del nuovo Podestà così come emerge dall'esperienza dei Comuni. E' fondamentale, certo, un rafforzamento dell'esecutivo, ma solo se contemporaneamente si garantisce la piena sovranità dell'Assemblea.

In questo senso, la classe politica isolana ha di fronte a sé il compito storico di inaugurare una svolta con spirito costituente e di interpretare perciò correttamente le imponenti trasformazioni in atto. Il nuovo tempo ci sta lanciando una grande sfida che non può essere affrontata solo in nome dell'unità del popolo sardo, senza sterili divisioni ed in uno spirito bipartisan che troppe volte ha funzionato in negativo, vale a dire ha avuto la poco nobile funzione di bloccare sul nascere le idee e le forze politiche che pure avevano lottato per il cambiamento.


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