CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIII LEGISLATURATESTO UNIFICATO N. 184-185/A
Norme per l'istituzione di centri e case di accoglienza
per le donne vittime di violenza
Approvato dalla Settima Commissione il 31 luglio 2007
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RELAZIONE DELLA COMMISSIONE SANITÀ - IGIENE PUBBLICA - MEDICINA SOCIALE - EDILIZIA OSPEDALIERA - SERVIZI SANITARI E SOCIALI - ASSISTENZA - IGIENE VETERINARIA - PERSONALE DELLE UU.SS.LL.
composta dai consiglieri
PACIFICO, Presidente - GALLUS, Vice presidente - COCCO, Segretario - PETRINI, Segretario - BARRACCIU, relatore - GESSA - IBBA - LAI Silvio - LAI Vittorio Renato -- LANZI - LICANDRO - LIORI - RANDAZZO Vittorio - UGGIAS
pervenuta il 31 luglio 2007
La Settima Commissione ha approvato all'unanimità, nella seduta del 31 luglio 2007 il testo unificato recante "Norme per l'istituzione di centri e case di accoglienza per le donne vittime di violenza" frutto dell'unificazione delle proposte di legge n. 184 "Istituzione di centri antiviolenza e case di accoglienza per donne e minori maltrattati" e n. 185 "Norme per l'istituzione di centri antiviolenza e case di accoglienza per le donne vittime di violenza". Nel corso dell'istruttoria la Commissione ha nominato una sottocommissione che ha provveduto all'unificazione delle due proposte.
Il testo unificato recepisce numerose osservazioni, suggerimenti e contributi emersi durante le audizioni che la Commissione ha espletato, con soggetti pubblici e privati che si occupano da anni delle problematiche contenute all'interno delle proposte esaminate.
Infatti è merito delle associazioni femminili aver posto all'attenzione dell'opinione pubblica il problema della violenza sulle donne in Sardegna, aver suggerito rimedi adeguati alla gravità del problema e aver dato vita alla esperienza delle "case delle donne maltrattate" o dei "centri antiviolenza", o, ancora, dei "telefoni rosa". Tutte iniziative finalizzate a ricostruire elementi di difesa e potenziare gli strumenti di autostima delle donne maltrattate o violentate e, oltre a ciò, a fornire solidarietà e aiuto per contrastare la violenza. Il presente testo non può che far tesoro di quelle esperienze, recepirne la ratio e dare fondamento normativo ad uno strumento che sul campo si è dimostrato molto efficace.
Le originarie proposte nascono dalla constatazione di un fenomeno che le statistiche indicano essere in costante e preoccupante aumento: la violenza sulle donne. Una fattispecie ampia costituita da ogni forma di abuso e che si manifesta attraverso il sopruso fisico, sessuale e psicologico.
Gli studi mostrano che la maggior parte degli episodi di violenza è posta in essere dai partner (seguiti dai padri e, in misura minore, dai fratelli) e non è necessariamente collegata all'uso di alcool o droghe e neppure a disturbi psichici. Le indagini eseguite recentemente dimostrano che il fenomeno non riguarda soltanto situazioni familiari disgregate o degradate, ma attraversa tutti i ceti e le classi sociali.
Particolarmente gravi risultano i maltrattamenti interni alla coppia, dove il clima di violenza genera un circolo vizioso che si autoalimenta con conseguenze sempre più gravi. Il "ciclo della violenza" conduce al progressivo isolamento della donna maltrattata che vive una anomala situazione di disagio, di cui si sente addirittura responsabile.
Si tratta di un fenomeno diffuso, benché ancora sommerso e sottodimensionato. È comunque difficile avere una esatta dimensione di tale fenomeno. Omertà, vergogna e paura sono ulteriori elementi che rendono questa forma di abuso sulle donne difficilmente accertabile e, di conseguenza, perseguibile. Spesso il fenomeno emerge solo quando la vittima riesce a trovare la forza di rivolgersi a qualcuno esterno alla famiglia, come i centri antiviolenza o gli avvocati, nel caso si dia inizio ad azioni legali; oppure quando assume connotati di una gravità tale da non poter essere taciuta, ossia quando integra forme di reato contro la persona di eccezionale pericolosità (come ad esempio l'omicidio).
Ad ogni modo, benché la rete di tutela e di protezione si sia progressivamente rafforzata in questi ultimi anni, l'intervento giudiziario si è spesso rivelato inadeguato a quantificare l'entità del danno causato alle donne maltrattate: il danno, oltre che fisico, spesso è psicologico e "deprivante la capacità di autodeterminazione e condizionante per un sereno esprimersi della personalità".
Negli ultimi anni si è registrato un forte cambiamento del costume sociale che ha portato a tollerare sempre meno la violenza, anche in un ambito così riservato come la famiglia. In primo luogo le vittime si sono fatte consapevoli dei propri diritti e delle ingiustizie subite e sempre più cercano, tramite la denunzia dell'aggressore, di fermare la violenza. In secondo luogo varie forze sociali hanno fatto pressione sugli organi di governo che sono stati chiamati a dare una risposta normativa al problema, tanto che, già nel 1997, l'allora Ministro per le pari opportunità, di concerto con il Ministro per la solidarietà sociale, nonché con il Ministro di grazia e giustizia, il Ministro delle finanze ed il Ministro dell'interno, presentarono un primo disegno di legge recante misure contro la violenza nelle relazioni familiari.
L'attenzione del legislatore nazionale verso il problema della violenza in famiglia si è concretizzata nella legge n. 154, varata nell'aprile del 2001. La legge, fortemente appoggiata anche dai centri antiviolenza italiani, rappresenta la sintesi di numerosi anni di studio della materia. Una legge che ha il merito di aver finalmente indicato un certo numero di reati che possono essere compiuti all'interno delle mura domestiche.
La legge nazionale ha inoltre introdotto una nuova misura cautelare all'articolo 282 bis del codice di procedura penale e una nuova misura denominata "ordini di protezione" agli articoli 342-bis e 342-ter del codice civile. Entrambe le misure sono poste a tutela di qualunque vittima di violenza in famiglia. La ratio delle stesse è quella di evitare la condizione di peregrinazione da parte del restante nucleo familiare, quando vi sia la possibilità, con il semplice allontanamento di colui che ha posto in essere i fatti pregiudizievoli, di mantenere unita la famiglia nel luogo dove essa ha i propri interessi, le proprie relazioni ed i propri affetti indispensabili per mantenere un contatto positivo con la realtà. Una misura di "forte tutela" nei confronti delle donne vittime di violenza e maltrattamenti da parte dei propri mariti o partner.
Il testo unificato punta a rafforzare, attraverso l'istituzione di centri antiviolenza e/o case di accoglienza, il sistema di tutela e di protezione delle donne maltrattate in Sardegna allorquando non sia possibile allontanare dal nucleo familiare o dalle mura domestiche colui che ha posto in essere comportamenti violenti. L'obiettivo è quello di aprire centri antiviolenza e case di accoglienza rivolti a donne che hanno subito violenze ed ai loro figli minori.
La volontà dichiarata è che i centri antiviolenza e le case di accoglienza possano entrare finalmente, e a pieno diritto, nel sistema locale dei servizi sociali a rete, per contrastare tutti i tipi di violenza contro le donne e i loro figli minori attraverso interventi di consulenza, ascolto, sostegno ed accoglienza, permettendo alle donne stesse di assumere, libere da costrizioni e condizionamenti, le decisioni che ritengono più opportune.
Una volontà che nasce anche dalla spinta derivante dalla Legge n. 328 del 2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) che riconosce e agevola il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, delle associazioni e degli enti di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato nella programmazione, organizzazione e gestione del sistema integrato di interventi e servizi alla persona. La necessità di avere luoghi nei quali le donne vittime di violenza possano rifugiarsi è pertanto conseguente a questi presupposti. Poter lasciare immediatamente la casa dove si subisce il maltrattamento (ancor prima della denuncia e dell'avvio di un'indagine e dell'accertamento da parte dell'autorità giudiziaria), è il primo indispensabile passo per potersi sottrarre alla persecuzione del familiare violento. Avere a disposizione un luogo nel quale rifugiarsi è anche indispensabile per evitare che queste donne siano spesso nuovamente penalizzate dalla impossibilità, come spesso succede, di avere un loro ambiente alternativo nel quale trasferirsi. Prevedere case di accoglienza è anche necessario per consentire a queste donne di intraprendere più serenamente azioni giudiziarie che, spesso, lungi dal dare risposte immediate, si protraggono nel tempo.
Rispetto al testo della sottocommissione, la Commissione nel suo plenum ha apportato modifiche tese alla semplificazione ed allo snellimento dell'articolato rendendolo maggiormente chiaro al fine della sua applicazione.
La Commissione ha acquisito i pareri della Commissione Bilancio, ai sensi dell'articolo 45 del Regolamento e del Consiglio delle autonomie locali, ai sensi dell'articolo 9 della legge regionale n. 1 del 2005.
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PARERE DEL CONSIGLIO DELLE AUTONOMIE LOCALI
pervenuto il 25 luglio 2007
Vista la proposta di legge avente come oggetto "Norme per l'istituzione di centri e case di accoglienza per le donne vittime di violenza" esprime nel complesso un parere positivo.
Il parere positivo deriva dal fatto che la Regione Sardegna si dota finalmente di uno strumento normativo che contrasta la violenza nei confronti delle donne. Stabilire che la "violenza contro le donne è violenza di genere e costituisce un attacco all'inviolabilità della persona e alla sua libertà" rappresenta sicuramente un passo in avanti nella cultura giuridica della Sardegna.
La violenza sulle donne (e sui minori) è una macchia indelebile delle società contemporanee tanto più quando si realizza, come nella maggior parte dei casi, in ambiente domestico o lavorativo.
Nella proposta di legge, e questo è un dato positivo, si evita l'ipocrisia che la famiglia rappresenti l'unico baluardo contro la "barbarie", ma sia in molti casi luogo di violenza, di sopraffazione e di disagio.
Il Consiglio della autonomie locali tuttavia a fronte della positività generale dei principi che hanno ispirato la proposta di legge rileva alcune carenze relative al ruolo degli Enti Locali all'interno dell'impianto legislativo proposto.
Il ruolo degli enti locali appare infatti residuale poiché non ne viene specificato nel dettaglio né il ruolo né le funzioni. La proposta di legge stabilisce (articolo 3, comma 5) che "i centri antiviolenza sono costituiti in numero massimo di 8, dislocati in ambito provinciale". Il principio dell'individuazione dell'ambito ottimale provinciale appare condivisibile, ma non è chiarito il ruolo della provincia come ente di coordinamento fra i comuni. Appare anche discutibile il fatto che le case di accoglienza possano essere aperte solo in centri che abbiano popolazione non inferiore a 30.000 abitanti.
Appare inoltre in contraddizione con l'articolo 3, comma 5, la possibilità, prevista dal successivo comma 6, che nei comuni superiori a centomila abitanti e nelle aree vaste possa essere prevista l'apertura di più centri e case di accoglienza.
A parere del Consiglio delle autonomie locali sarebbe stato preferibile affermare anche in questa proposta di legge i principi di autonomia, vale a dire la libertà degli enti locali di costituire centri antiviolenza e case di accoglienza dove essi ritengono giusto ed opportuno, e il principio di sussidiarietà, ovvero il principio secondo il quale i problemi e le soluzioni possibili si affermano e si decidono al livello decisionale più vicino ai cittadini.
In questo contesto il ruolo dei comuni e dei servizi sociali degli stessi sono elementi da valorizzare e da implementare anche e soprattutto perché rappresentano per le donne in difficoltà l'unico elemento di aiuto e di sostegno.
I servizi sociali comunali dovrebbero essere (e nella pratica quotidiana lo sono) l'elemento di raccordo fra vittime di violenza, forze dell'ordine, associazioni di volontariato e che pertanto la proposta di legge avrebbe dovuto tenere nel giusto conto questo dato di fatto. Appare svilito il ruolo degli enti locali anche al successivo art. 6 dove a fronte di alcune ovvie competenze (garantire strutture adeguate, cofinanziamento, periodiche campagne di sensibilizzazione) non viene riconosciuto adeguatamente il potere di proposta autonoma. Sempre all'articolo 6, l'ente locale dove caricarsi per la gestione dei Centri antiviolenza e delle Case di accoglienza un onere così elevato potrebbe essere un freno rispetto alle buone intenzioni insite nella norma.
La violenza sulle donne è sicuramente una violenza che si perpetua in tutte le classi sociali della nostra comunità senza distinzione alcuna, tuttavia, esistono donne che sono ostaggio di uomini anche dal punto di vista economico poiché da essi dipendono direttamente. Per questa categoria di donne è molto difficile la denuncia e la successiva ricostruzione di una vita autonoma. Da questo punto di vista la proposta di legge appare carente poiché individua interventi solo riparativi, peraltro fondamentali, ma non individua interventi risolutivi.
È positiva la previsione dell'articolo 8, comma 2, secondo il quale la Regione (ma non gli enti locali) riserva una quota di alloggi per le donne vittime di violenza, ma non prevede forme di accordo (ad esempio i protocolli) con le organizzazioni imprenditoriali per garantire alle stesse un posto di lavoro.
Altro aspetto che la legge non affronta è la liberazione delle donne, soprattutto straniere, da un altro tipo di violenza: la schiavitù delle prostitute.
Anche per queste donne sarebbe stato bene prevedere interventi mirati di tutela all'interno di questa proposta di legge.
Il Consiglio delle autonomie auspica che nella discussione in Consiglio regionale le proposte e le osservazioni possano essere accolte positivamente anche nello spirito bipartisan che ha ispirato il testo in esame.
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TESTO DELLA COMMISSIONE
Titolo: Norme per l'istituzione di centri e case di accoglienza per le donne vittime di violenza.
Art. 1
Principi1. La Regione autonoma della Sardegna riconosce che la violenza sulle donne é violenza di genere. Essa costituisce un attacco all'inviolabilità della persona ed alla sua libertà, secondo i principi sanciti dalla Costituzione e dalle vigenti leggi.
2. Alle vittime di violenza e ai loro figli minori è assicurato un sostegno per consentire loro di ripristinare la propria autonoma individualità e di riconquistare la propria libertà, nel pieno rispetto della riservatezza e dell'anonimato.
Art. 2
Finalità1. La Regione, ai sensi della legge 4 aprile 2001, n. 154, e della legge 8 novembre 2000, n. 328, promuove e coordina iniziative per contrastare la violenza di genere intervenendo con azioni efficaci contro la violenza sessuale, fisica, psicologica e/o economica, i maltrattamenti, le molestie e i ricatti a sfondo sessuale e non, in tutti gli ambiti sociali, a partire da quello familiare.
2. La Regione riconosce l'importanza dell'attività svolta dai centri antiviolenza e dalle case di accoglienza già operanti nel territorio regionale, valorizza i percorsi di elaborazione culturale e le pratiche di accoglienza autonome ed autogestite dalle donne e garantisce la promozione di nuovi centri e/o case di accoglienza avvalendosi delle esperienze e delle competenze espresse localmente da enti, associazioni di volontariato e organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) che abbiano come scopo primario la lotta e la prevenzione della violenza sulle donne e i minori e la solidarietà alle vittime e che dimostrino di disporre di personale adeguato per i compiti predetti e di avere almeno tre anni di esperienza nello specifico settore.
3. La Regione favorisce e promuove interventi di rete di istituzioni, associazioni, organizzazioni, enti pubblici e privati o di competenze e figure professionali, per offrire alle donne, italiane o straniere, risposte differenziate rispetto al tipo di violenza subita, ai danni da questa causati ed ai conseguenti effetti.
Art. 3
Costituzione dei centri antiviolenza
e delle case di accoglienza1. La Regione, al fine di garantire adeguata solidarietà, sostegno e soccorso alle donne vittime di violenza ed ai loro figli minori finanzia centri antiviolenza e case di accoglienza.
2. I centri antiviolenza e le case di accoglienza possono essere promossi:
a) da enti locali singoli o associati;
b) dai soggetti di cui al comma 2 dell'articolo 2 che dimostrino di avere almeno tre anni di esperienza e di disporre di personale adeguato;
c) di concerto, dai soggetti di cui alle lett. a) e b), d'intesa o in forma consorziata.3. Alle strutture di cui al presente articolo possono ricorrere tutte le donne vittime di violenza, sole o con figli minori, indipendentemente dal loro status giuridico o di cittadinanza.
4. I centri e le case sono dotati di strutture adeguate e di personale specializzato, operano senza fini di lucro e in autonomia nelle metodologie, nella gestione e nelle modalità di rapporto con le istituzioni pubbliche o private; i centri e le case garantiscono l'anonimato della donna, salvo diversa decisione della donna stessa.
5. I centri antiviolenza sono costituiti in numero massimo di 8, dislocati in ambito provinciale.
6. Le case di accoglienza sono aperte in centri che abbiano popolazione non inferiore ai 30.000 abitanti. Nei comuni superiori ai centomila abitanti e nelle aree vaste può essere prevista l'apertura di più centri e case di accoglienza.
7. Il Centro può essere comprensivo o collegato a una Casa che deve presentare caratteri di funzionalità e sicurezza sia per le donne che per i loro figli minori.
8. Le sedi dei centri e delle case possono essere di proprietà pubblica, comunale, provinciale o regionale.
9. Ogni centro antiviolenza e ciascuna casa di accoglienza sono retti da un regolamento autonomo interno che definisce il rapporto con le donne ospiti.
Art. 4
Centri antiviolenza1. Il centro antiviolenza svolge le seguenti funzioni e attività:
a) colloqui preliminari per individuare i bisogni e fornire le prime indicazioni utili;
b) percorsi personalizzati di uscita dalla spirale della violenza;
c) colloqui informativi di carattere legale;
d) affiancamento della donna, qualora la stessa lo richieda, nella fruizione dei servizi pubblici o privati, nel rispetto dell'identità culturale e della libera scelta di ognuna.2. Il centro antiviolenza svolge, inoltre, le seguenti attività:
a) raccolta e analisi dei dati relativi all'accoglienza ed all'ospitalità;
b) diffusione dei dati elaborati e analisi delle risposte dei servizi pubblici e privati contattati e coinvolti;
c) formazione e aggiornamento delle operatrici dei centri e degli operatori sociali istituzionali;
d) iniziative culturali di prevenzione, di pubblicizzazione, di sensibilizzazione e di denuncia in merito al problema della violenza contro le donne, anche in collaborazione con altri enti, istituzioni e associazioni;
e) raccolta di documentazione sul fenomeno della violenza sulle donne da mettere a disposizione di singole persone o di gruppi interessati.3. I Centri antiviolenza e le case di accoglienza mantengono costanti e funzionali rapporti con le strutture pubbliche cui competono l'assistenza, la prevenzione e la repressione dei reati e sviluppano con protocolli appositi e linee guida le relazioni con i servizi sociali dei Comuni, i servizi sanitari delle ASL e le strutture scolastiche anche al fine di garantire risposte adeguate alle diverse condizioni di provenienza.
Art. 5
Case di accoglienza1. Alle case di accoglienza e al personale, dotato di adeguata professionalità e comprovata esperienza nel settore sono garantite la riservatezza e la sicurezza. Le case sono strutture di ospitalità temporanea per le donne ed i loro figli minori che si trovano in situazione di necessità o di emergenza; il personale coordina le ospiti nell'autogestione della casa.
2. Le case hanno la finalità di:
a) accogliere e sostenere donne in condizione di disagio per causa di violenza sessuale o maltrattamenti in famiglia, assieme ai loro figli minori;
b) costruire cultura e spazi di libertà per le donne vittime di gravi maltrattamenti;
c) dare valore alle relazioni tra donne anche in presenza di grave disagio.4. L'accesso alle case di accoglienza avviene unicamente per il tramite del centro antiviolenza, secondo le valutazioni ed i pareri espressi dall'equipe di accoglienza.
Art. 6
Convenzioni1. Gli enti locali singoli o associati possono stipulare apposite convenzioni con i soggetti di cui al comma 2 dell'articolo 2, per lo studio, redazione e gestione del progetto antiviolenza, nonché per definire le modalità di erogazione dei servizi e degli interventi e assicurare la continuità del progetto stesso.
2. Gli enti locali devono comunque garantire:
a) strutture adeguate in relazione alla popolazione e al territorio, anche di concerto o in associazione con altri soggetti pubblici o privati;
b) la copertura finanziaria per almeno il 40% delle spese di gestione per la funzionalità operativa delle strutture;
c) adeguate e periodiche campagne informative in merito all'attività e ai servizi offerti dal centro antiviolenza.
Art. 7
Gratuità1. I servizi dei Centri e delle case sono gratuiti.
2. Il soggiorno nelle Case di accoglienza per le donne ed i loro figli minori è gratuito fino ad un massimo di centoventi giorni, salvo diverse previsioni e necessità documentate dal personale responsabile. Qualora si trovino in disagiate condizioni economiche vengono affidati ai servizi sociali del territorio di appartenenza.
Art. 8
Assistenza garantita1. La Regione emana norme perché i comuni garantiscano adeguata assistenza finanziaria alle donne che vengano a trovarsi nella necessità, adeguatamente documentata dal personale dei centri antiviolenza, di abbandonare il proprio ambiente familiare e abitativo, in quanto vittime di stupri, violenze e abusi sessuali, fisici o psicologici e che si trovino nell'impossibilità di rientrare nell'abitazione originaria.
2. La Giunta regionale ad integrazione di quanto previsto nell'articolo 14 della legge regionale 6 aprile 1989, n. 13, e successive modifiche e integrazioni, può finalizzare la riserva di alloggi per situazioni di emergenza abitativa a casi di donne vittime di violenze in famiglia laddove siano iniziati i relativi procedimenti giudiziari.
Art. 9
Concessione di contributi1. La Giunta regionale, su proposta dell'Assessore regionale dell'igiene e sanità e dell'assistenza sociale, sentita la Commissione consiliare competente, stabilisce i criteri e le priorità per la concessione di contributi diretti a finanziare le attività e le strutture di cui alla presente legge; gli adempimenti connessi all'attuazione degli interventi sono demandati all'Assessorato regionale dell'igiene e sanità e dell'assistenza sociale che vi provvede conformemente a linee guida appositamente emanate, contenenti, tra l'altro, gli standard funzionali ed i protocolli di prima accoglienza riferiti ai centri antiviolenza.
2. I fondi stanziati dalla Regione sono erogati entro i sessanta giorni successivi al ricevimento delle domande di concessione dei contributi.
Art. 10
Cumulabilità dei finanziamenti1. I finanziamenti concessi ai sensi della presente legge sono cumulabili con quelli previsti dalle normative comunitarie e statali, sempre che non sia da queste diversamente stabilito, secondo le procedure e le modalità previste dalle norme medesime.
2. La convenzione di cui all'articolo 6, comma 1, prevede le forme da adottare per garantire la regolarità delle erogazioni e la continuità del servizio.
Art. 11
Procedure di verifica e finanziamenti1. I soggetti promotori di cui all'articolo 3 presentano ogni anno alla Giunta regionale una relazione sull'andamento e sulla funzionalità dei centri antiviolenza e delle case di accoglienza.
2. La Giunta regionale, tramite l'Assessorato regionale dell'igiene e sanità e dell'assistenza sociale assicura annualmente la rilevazione sistematica del fenomeno della violenza contro le donne, individua le "buone prassi" e predispone una relazione per definire i criteri di cui all'articolo 8, comma 1, anche in funzione della predisposizione dei documenti di programmazione e bilancio della Regione.
Art. 12
Norma finanziaria1. Gli oneri previsti dall'applicazione della presente legge sono valutati a decorrere dall'anno 2008 in euro 1.200.000 per l'anno 2008 e in euro 1.800.000 per gli anni successivi; nel bilancio di previsione della Regione per gli anni 2007-2010 sono apportate le seguenti variazioni:
in aumento
Strategia 05 - Sanità e politiche sociali
Funzione obiettivo 03 - Attività per l'inclusione sociale
UPB S05.03.009
Interventi vari nel settore socio-assistenziale -Parte corrente
2007 euro ----
2008 euro 1.200.000
2009 euro 1.800.000
2010 euro 1.800.000
per incrementare il capitolo di nuova istituzione con la seguente denominazione "Spese per l'istituzione di centri antiviolenza e case di accoglienza per donne maltrattate".
in diminuzione
Strategia 08 - Somme non attribuibili
Funzione obiettivo 01 - Attività generali e di gestione finanziaria
UPB S08.01.002
Fondo per nuovi oneri legislativi di parte corrente
2007 euro ----
2008 euro 1.200.000
2009 euro 1.800.000
2010 euro 1.800.000
mediante riduzione dalla voce 8) della Tabella A allegata alla legge regionale 29 maggio 2007, n. 2 (legge finanziaria 2007).2. Le spese per l'attuazione della presente legge gravano sulla suddetta UPB del bilancio della Regione per gli anni 2007-2010 e su quelli corrispondenti dei bilanci per gli anni successivi.
Art. 13
Entrata in vigore1. La presente legge entra in vigore nel giorno della sua pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione autonoma della Sardegna.