CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIII LEGISLATURA

PROPOSTA DI LEGGE N. 110

presentata dai Consiglieri regionali
LAI - FADDA Paolo - MASIA - PACIFICO - ADDIS - COCCO - IBBA -
LANZI - SERRA

il 23 febbraio 2005

Indirizzi generali e realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali


RELAZIONE DEL PROPONENTE

La legge nazionale n. 328 del 2000 è stata correttamente definita legge-quadro e riforma dei servizi socio-assistenziali.

Durante la tredicesima legislatura il parlamento italiano infatti ha realizzato un provvedimento atteso da oltre cento anni. Con successive modifiche ed integrazioni la legge Crispi del 1890 ha rappresentato il riferimento per le politiche assistenziali del nostro paese. Ciò rappresentava un impedimento alla piena attuazione del principio di uguaglianza sostanziale sancito dalla Costituzione, essendo la stessa legge del 1890 impostata secondo una logica assistenzialista, per questo lontana dall'esigenza di promuovere la persona come soggetto detentore di diritti e quindi come depositaria delle attenzioni di tutta la comunità.

Vi sono state nella Costituzione repubblicana fondamentali innovazioni che nel tempo hanno faticato a tradursi in vere realizzazioni sostanziali. La definizione di un sistema universalista di servizi gestito attraverso un complesso apparato prevalentemente centralizzato, ha mostrato un vasto carico di inefficienze, che si è tradotto in  sprechi di risorse pubbliche e in progressive sperequazioni nell'accesso ai servizi: cittadini con redditi e condizioni sociali non elevate che si trovavano ad ottenere gli stessi servizi di altri cittadini i quali vivevano condizioni sociali ed economiche  decisamente migliori. Si era sviluppata una consolidata pratica del fare parti uguali tra disuguali, che veniva vissuta dalle categorie più deboli come somma ingiustizia.

È stata la presa d'atto che il sistema universalista centralizzato non poteva più reggere e doveva adattarsi alle trasformazioni avvenute nell'organizzazione del lavoro. Definendo in sè il passaggio ad un'altra epoca.

La tutela dei diritti non più inserita in un percorso parallelo a quello del lavoro, ma bensì come fondamentale "riserva" della persona nelle differenti fasi della sua vita e nelle differenti condizioni, deve però prendere atto della complessità e della progressiva frammentazione del corpo sociale.  Le stesse esigenze sociali si sono differenziate e sempre più spesso si parla di "nuove povertà", che riguardano non solo la sfera delle disponibilità monetarie, ma piuttosto stati dell'essere che coincidono con la crescente solitudine delle persone nell'epoca delle solidarietà minute, del venir meno delle appartenenze. La stessa coesione sociale deve perciò essere reinterpretata e per farlo è necessario promuovere la partecipazione delle risorse della società civile, nei modi e nelle forme che questa è in grado di esprimere. Per questi motivi la Legge n. 328 del 2000 istituisce  un sistema integrato di interventi e servizi sociali, piuttosto che rinnovare e rimodulare un apparato centralizzato in grado di produrre servizi assistenziali attraverso provvedimenti per categorie, interventi monetari, politiche riparatorie, invece che preventive, per se stesse basate sulla filosofia del "rimedio" anziché su quella della promozione.

È stato scritto che il livello e la qualità  dello sviluppo vanno di pari passo con i diritti sociali che una collettività è in grado di garantire. Attraverso la promozione della persona e della sua responsabilità, la legge intende distribuire su tutto il territorio nazionale una rete di garanzie e di interventi resi omogenei dalla definizione dei livelli essenziali di assistenza stabiliti dal Ministero del welfare e quindi in grado di costituire l'universalità nell'accesso alle prestazioni. 

È un processo importante quello che si intende attivare con la presente proposta di legge.

Con la definizione di un percorso partecipato, gli enti locali, il terzo settore, i sindacati, gli utenti, le famiglie e le loro organizzazioni, potranno programmare una rete di servizi definita all'interno di ambiti territoriali stabiliti dalle singole municipalità in forma singola o associata, con preferenza per queste ultime, costruita secondo il metodo dei piani sociali di zona, stringendo insieme l'integrazione socio-sanitaria e prevedendo un sistema di finanziamento plurimo che non esclude le forme di autofinanziamento dei soggetti che vi partecipano.

La Sardegna con il proprio statuto autonomo manteneva competenza propria nell'ambito dei servizi sociali, ancora prima che la legge costituzionale n. 3 del 2001 modificasse il titolo V della Costituzione impostando in senso federale l'intero ordinamento.

Con la legge regionale n. 4 del 1988, si impostava secondo una filosofia fortemente innovativa, un sistema di servizi socio-assistenziali, attribuendo ai comuni la titolarità nella programmazione dei servizi sulla base degli indirizzi del piano regionale socio-assistenziale. Già quella legge, prevedendo l'istituzione di un apposito registro degli istituti ed organismi privati, attivava procedure di delega al privato sociale della produzione dei servizi, attraverso il metodo del contracting out.

Lo stesso volontariato viene riconosciuto come attore fondamentale nella risposta al bisogno e nella creazione di migliori condizioni di coesione nei territori e per questo incentivato ed integrato nel sistema dei servizi sociali.

Con la presente proposta di legge si fanno salvi gli aspetti positivi della legge 4 del 1988 e si allarga a tutta la società civile il processo di programmazione dei servizi, attraverso la progettazione sociale nei piani di zona, accentuando in questo modo il processo di integrazione fra comuni e di attenzione ai territori.

Si conferma quindi l'innovatività e la capacità anticipatrice della legge regionale n. 4 del 1988 e la si innova con i principi della riforma nazionale introducendo principi di sussidiarietà orizzontali e verticali di valenza essenziale, attraverso l'organico collegamento fra gli interventi assistenziali e quelli sanitari.

Il titolo I descrive i principi, i diritti e i compiti con la descrizione dei rispettivi doveri di istituzioni e soggetti erogatori,  in relazione ai diritti esigibili dai cittadini utenti.

La proposta di legge che qui viene illustrata parte dal concetto di diritto del singolo cittadino e della famiglia, intendendo con questa precedenza una visione del sistema che pone al centro il diritto della persona, quella riserva esistente in base al diritto di cittadinanza, di avere condizioni di vita adeguate e diritto alla scelta del proprio tenore di assistenza.

Solo in secondo luogo la legge definisce i soggetti che hanno il compito e l'obbligo di garantire che quel diritto possa essere esercitato, in base ad una responsabilità crescente in rapporto alla vicinanza con il soggetto che ha il diritto.

Vengono così definiti i compiti dei soggetti istituzionali partendo dai comuni, passando per le province e concludendo con la Regione.

I comuni hanno il compito della gestione e dell'organizzazione attraverso l'innovativo piano di zona, le province  del coordinamento, la Regione della programmazione generale e della definizione degli standard del sistema, al fine di garantire omogeneità e uniformità.

La novità di una Regione che non spende direttamente ma che si dedica al compito alto di programmazione e verifica rappresenta una innovazione che anticipa un processo di cambiamento istituzionale che rafforza nei ruoli di spesa e realizzazione le istituzioni più vicine e verificabili dai cittadini-utenti.

Un altro elemento di novità, che raccoglie e, se possibile, rafforza gli effetti della legge nazionale, è il ruolo del terzo settore che viene chiamato alla concertazione dei piani di zona e riconosciuto, in quanto aggregazione di cittadini, come soggetto erogatore privilegiato.

Il titolo II, sugli strumenti attuativi, descrive le modalità e gli strumenti di realizzazione e di attuazione del sistema integrato attraverso la definizione del finanziamento, le modalità di accreditamento, gli strumenti come la carta dei servizi sociali, il sistema informativo, la relazione annuale e il piano regionale. Inoltre definisce e specifica lo strumento dei piani di zona, gli obiettivi, e le modalità partecipative per attuarlo. Viene data importanza ai compiti di concertazione delle politiche in capo alla Regione come soggetto programmatore.

Il titolo III, concernente la tipologia degli interventi e dei servizi sociali, definisce il sistema integrato, in termini di interventi specifici, che vengono descritti come diritto da soddisfare e, riguardo alle modalità di erogazione, suddivisi in interventi e servizi di prevenzione e promozione sociale e attività socio-assistenziali. Viene inoltre definito con precisione il modello di intervento dell'assistenza privata all'interno del sistema integrato.

Nel titolo IV, il contributo del volontariato vuole essere il riconoscimento specifico dell'importanza di quella forma di intervento solidale e di gratuità che si esprime con il volontariato. La distinzione necessaria rispetto al terzo settore è legata al fatto che il volontariato non è soggetto economico, erogatore innovativo di servizi in alternativa allo stato e al mercato; è invece, come lo definiva Luigi Di Liegro, profetico direttore della Caritas romana negli anni 90, lì dove lo Stato non ha ancora visto il bisogno. È anticipatore solidale e gratuito e per questo può svolgere una funzione essenziale nella formulazione dei piani di zona e nella definizione delle priorità provinciali e regionale del sistema, come nella definizione di criteri e standard minimi. Nello stesso tempo è l'origine e la radice delle forme di terzo settore che si assumono compiti di erogazione di servizi. Per questo ne va accompagnata l'evoluzione all'interno di regole certe.

Il titolo V contiene le norme relative all'istituzione del fondo regionale per il sistema integrato, quelle per il regolamento di attuazione della legge e la norma di abrogazione della legge regionale n. 4 del 1988.