CONSIGLIO REGIONALE DELLA
SARDEGNA
XIII LEGISLATURA
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Un disegno politico per ridimensionare la facoltà di medicina dell'Università di Sassari? Il preside della facoltà Rosati lamenta "disattenzioni e ritardi". Il problema dell'azienda mista e delle specialità pediatriche. Rischiamo la chiusura le scuole di specializzazione. Audizione in Commissione sanità.
Cagliari, 17 ottobre 2006 - C'è un disegno politico
di ridimensionare la facoltà di medicina dell'Università di
Sassari? La preoccupazione, che il prof. Giulio Rosati, preside di
facoltà, ha manifestato alla Commissione sanità nel corso delle
audizioni sul Piano regionale, è motivata da una serie di
atteggiamenti, alcuni dilatori, altri di "scarsa attenzione ai
problemi", che sembrano voler spostare su Cagliari il centro di
gravità della ricerca e della didattica. Il malumore traspare.
Alcuni docenti di buona fama non ne fanno mistero: con queste
prospettive, noi ce ne andiamo, dicono. Ma se scelta politica è -
insiste Rosati - deve essere resa pubblica.
I motivi del dissenso sono maturati negli ultimi due anni, da
quando si pensa, prima di tutto, a ridurre la spesa sanitaria. "La
scienza in nome del risparmio - dice il preside - diventa
perdente". Sconvolgendo l'assetto delle strutture universitarie, si
abbassa il livello delle risposta alla domanda di salute.
L'università ha sempre avuto, in campo medico, un primato che oggi
sembra venga disconosciuto.
Rosati tira in ballo l'azienda mista, che sarebbe dovuta partire da
tempo, ma non è ancora ai preliminari (direttore generale dell'Asl
e rettore non si sono ancora incontrati per definirne la struttura
e procedere allo scorporo dei servizi). Didattica, ricerca e
assistenza dovrebbero trovare un giusto mix. Ma il mix che la
Regione ha in testa non è quello che hanno in testa gli
universitari. Rosati incalza: il nodo da sciogliere è il numero
delle strutture complesse da affidare agli ospedalieri. Discorso -
precisa - che avrebbe un senso se gli universitari potessero
dirigere a loro volta strutture ospedaliere. Voler fare metà e metà
nell'azienda mista, sbilancia a favore degli ospedalieri e non dà
il giusto riconoscimento agli universitari.
Per queste nomine "si deve valutare il curriculum scientifico"; se
si fissano percentuali a priori, "noi non ci staremo mai". C'è,
invece, il pericolo che, a voler dare riconoscimenti agli
ospedalieri, siano premiate "persone che non hanno competenze
adeguate".
Una sanità del genere, poco attenta ai bisogni del territorio,
rischia davvero di giocare al ribasso. Campanello d'allarme per le
scuole di specializzazione, per le quali il ministero richiede i
requisiti minimi indicando standard impegnativi. "Ci sono ritardi
immensi", afferma il prof. Rosati, che lamenta l'esclusione degli
universitari dal confronto con i vertici Asl. E se le scuole
sassaresi chiudono, "per quel che ne so, e credo d'essere
informato, difficilmente i nostri giovani medici potranno trovare
posto fuori regione".
Rischia di chiudere, sicuramente, la specializzazione in oncologia,
se l'università dovrà accontentarsi "di qualche letto in medicina
interna". Non ha senso di parlare di duplicazione, quando la
domanda è sostenuta, come, purtroppo, in questo caso. Si potrebbe
pensare, perciò, a un dipartimento comune università-ospedale,
favorendo, con l'integrazione, una "dimensione più avanzata"
rispetto a un reparto ospedaliero.
Quanto al Piano, "sul quale da tempo ci stiamo confrontando", ci
sono punti deboli. Rosati li ha elencati, a cominciare dalla
terapia radiometabolica che usa sostanze radioattive per tiroide,
ma anche per linfomi, tumori cerebrali, eccetera. Il Piano non
prevede posti letto protetti. Si vogliono rimandare a casa, in
famiglia, "persone che emanano radiazioni"? Il problema, dice il
preside di facoltà, è del tutto ignorato.
Altro buco nero, le specialità pediatriche. Indispensabile la
cardiologia pediatrica per proseguire le cure di piccoli pazienti
(almeno 200 all'anno) che hanno superato il periodo critico della
nascita con la terapia intensiva. "incivile" non avere la
rianimazione pediatrica, che non può essere confusa con la
rianimazione generale ("i bambini non sono piccoli uomini"). I
viaggi della speranza, utilizzando aerei militari, sono frequenti
per spostare bambini in centri dove l'assistenza è adeguata. Se
l'edilizia universitaria ricevesse altri finanziamenti, anziché
lasciare incompiute (come l'ala mai ultimata sull'orto botanico),
si potrebbe trovare lo spazio "per una signora rianimazione".
Invece non si prevedono investimenti, nonostante l'università abbia
650 letti per "tutte" le specialità. Una relazione alla procura
della repubblica ha messo il dito, dopo mesi di proteste
inascoltate, al "dramma della chirurgia pediatrica". Tra le
attività previste dal Piano per le specialità materno-infantili, in
realtà il repertino, istituito nel 1992 con l'arrivo di un chirurgo
specialista (il dott. Dessanti) non funziona per mancanza di
personale. Continua l'esodo, per una casistica elevata (800
interventi all'anno le esigenze del territorio, 80 le urgenze,
centinaia in lista d'attesa) che non trova conforto sul posto. Si
viaggia verso altre sedi, "con qualche rischio in più". Nessun
segnale, a riguardo, dall'assessorato. La chirurgia pediatrica non
è equiparata alla chirurgia generale e i chirurghi non specialisti
(che in passato hanno fatto fronte "in regime quasi coatto") si
rifiutano di supplire a rischio, se qualcosa va storto, di
magistratura. Di qui l'esposto alla procura.
Altro segnale negativo, i posti letto per acuti: Cagliari ha il 4,7
per mille abitanti; Sassari il 3,7, eppure, commenta il prof.
Rosati, la dimensione sanitaria di Sassari è sovraziendale, per
l'attrazione che esercita soprattutto su Nuoro. Olbia si affida
alla sanità privata (San Raffaele) per risolvere parte di questi
problemi; "noi prevediamo rapporti di collaborazione per innalzare
il livello dell'assistenza", ma i problemi di Sassari restano. Dal
ministro Bogino in poi è forse il momento più difficile per la
medicina universitaria sassarese. (adel)