CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIII legislatura

Confidustria sarda in audizione presso la Commissione bilancio; apprezzamento per le linee generali del documento, troppo generico, tuttavia, per favorire uno sviluppo concreto. I problemi del settore industriale meritano riferimenti più puntuali e specifici


Cagliari, 2 agosto 2005 - Il confronto sarà più efficace sulla Finanziaria e sul bilancio che diranno quali sono gli strumenti di intervento per favorire lo sviluppo dell'economia sarda. Il Dpef è, sotto questo aspetto, "un po' troppo accademico". E' il parere di Confindustria, il cui vertice è stato sentito dalla Terza Commissione (presidente l'on. Eliseo Secci) sul documento di programmazione economica e finanziaria.

Il giudizio è positivo. Anche la strada - quello di un piano di rientro della finanza pubblica - è quella giusta; altrimenti la Sardegna non si presenterà con le carte in regola all'appuntamento della nuova programmazione comunitaria 2007-2013. Oggi - dicono gli industriali - occorre dare stabilità all'economia perché gli operatori economici possano aver fiducia.

I conti in ordine e il successo della vertenza con lo Stato nella rivendicazione delle somme erariali non percepite sono due tappe importanti; com'è importante contenere le spese sanitarie. Ma la politica di rigore - afferma la Confidustria sarda - "non deve impattare negativamente sul sistema economico.

Industriali perplessi, invece, sui modi e i tempi di attuazione del Dpef. Se gli obiettivi fondamentali sono condivisibili, manca qualsiasi riferimento alla "quantificazione delle risorse  e alle cadenze temporali". Nulla viene detto "neppure per grandi linee" sulla manovra correttiva del 2006.

Il Dpef è voluminoso e complesso, tutt'altro che "snello" e con una chiara indicazione "delle linee di intervento". Anche le risorse finanziarie, necessarie per alimentare il progetto di sviluppo, non sono indicate con precisione.

Le imprese denunciano il momento di difficoltà e chiedono la riduzione degli oneri amministrativi, la semplificazione della legislazione, il suo miglioramento, più facilità nell'avvio di nuove imprese, meno burocrazia. Senza questi strumenti generali è difficile far crescere la dimensione aziendale, consolidando l'esistente e puntando sui settori innovativi, ad alto valore aggiunto.

Su due punti, in particolare, insiste Confindustria: la riforma delle aree industriali "che ne riduca il numero" e le renda "più vicine alle imprese"; l'attività di marketing territoriale affidata a soggetti qualificati con esperienza nazionale e internazionale. Ma altri passaggi sono indispensabili nell'immediato: il sostegno all'impresa manifatturiera, che "non può essere limitata alla sola industria", ma va estesa a tutti i settori in maniera omogenea; il rafforzamento del sistema produttivo puntando su settori strategici (in particolare biomedicina, bioinformatica e chimica avanzata).

Discorso a parte dell'industria agroalimentare, vista ancora, in modo insoddisfacente, come "prolungamento" dell'agricoltura anziché prevedere una dimensione industriale propria.

Quanto alla formazione, "deve trovare una specifica collocazione a livello regionale". Non occorrono "nuove regole", come il Dpef indica ("le regole ci sono già e sono stabilite a livello nazionale"); mentre occorre andare oltre i "finalizzati aziendali" e prevedere una formazione continua, partecipata dalle parte sociali e dall'impresa, come condizione di crescita umana e professionale.

Perplessità sulle politiche del turismo (Confindustria chiede un confronto aperto con la Giunta) e su alcuni interventi di politica industriale che richiedono "una maggiore messa a fuoco" e concretezza operativa; altrimenti il discorso rischia di essere soprattutto accademico. (adel)


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