Nota stampa
della seduta n. 251 pomeridiana del 26 febbraio 1998


Il Consiglio regionale si è riunito sotto la presidenza dell'on. Gian Mario Selis in seduta solenne per celebrare i cinquanta anni dello Statuto sardo. Ai lavori dell'Assemblea partecipano anche  parlamentari nazionali ed europei, rappresentanti delle autonomie locali, ex consiglieri ed ex parlamentari.

La seduta speciale è stata aperta dal presidente Selis che ne ha illustrato il significato.
"50 anni fa veniva approvato lo Statuto di Autonomia: si realizzava così un sogno. Una Autonomia che ci ha dato la dignità di popolo, che ha reso possibili la politica e la democrazia, e con esse di sfidare la storia. Essa per noi sardi non è solo un assetto delle istituzioni, un modello di Stato; ma è specchio della nostra coscienza individuale e collettiva, aspirazione storica della nostra identità, condizione per essere nella società internazionale e nello Stato, risorsa politica, culturale e morale per affrontare il futuro. E' stata costruita con la passione (non priva certo di errori) degli uomini che per essa hanno lottato costruendo la nostra democrazia", così il Presidente del Consiglio Gian Mario Selis nell'aprire la seduta solenne per ricordare il Cinquantesimo anniversario dell'Autonomia speciale della Sardegna.
Un intervento che ha ripercorso, poiché le celebrazioni non sono retorica, ma servono invece a fare i conti con la Storia, il come eravamo, quanto valiamo e dove vogliamo andare, consapevoli delle sofferenze che tanti hanno patito e che ancora patiscono. "A tutti costoro che soffrono in questo momento va il nostro pensiero e il nostro grazie: senza di essi, senza il loro apporto, il tessuto dell'autonomia non avrebbe i colori e le forme che, nel corso di questi cinquant'anni, sono stati disegnati", ha detto Gian Mario Selis.
 "Questa nostra Autonomia - ha infatti ricordato- non è rimasta esente da una lista lunga, ininterrotta e attuale di dolore, forse persino -con la piaga dei sequestri- di vergogna, riscattata, però, giorno dopo giorno dall'eroismo estremo e quotidiano di quanti, vittime delle violenze, non si sono arresi e costituiscono l'avanguardia attiva di un popolo che vuole liberarsi della piaga vergognosa".
"Questa Autonomia è stata costruita anche da quanti hanno dovuto lasciare questa terra portando ovunque l'orgoglio e la dignità della loro appartenenza - ha ricordato il Presidente - ma poiché non ancora compiuta, è stata ed è pagata dalla sofferenza di chi, privato del diritto al lavoro, alla formazione, alla cultura, alla salute, alla speranza cerca con fatica un senso alla propria vita in un momento così complesso (e forse confuso) della storia". "Non vogliamo dimenticare la nostra sofferenza perché non vogliamo più soffrire per l'arroganza del potere e della forza altrui".
"E poiché conosciamo la nostra sofferenza -ha aggiunto ricordando che il '98 segna anche i 50 anni della Dichiarazione dei diritti dell'uomo - non vogliamo che nessun popolo soffra, che nessun popolo perda la propria identità. Vogliamo essere cittadini del nostro villaggio e del nostro pianeta: Sardi, Italiani, Europei".
Il presidente del Consiglio ha affrontato quindi i problemi delle riforme, ricordando come l'unità del Paese sia fortemente a rischio; "perciò la stagione delle riforme non può limitarsi alla modernizzazione della Parte seconda della Costituzione: ci sono i valori e i principi della Parte prima che attendono ancora una piena, effettiva, sostanziale attuazione. Le condizioni di lavoro, di reddito, di vita sono troppo squilibrati. Il Mezzogiorno é dimenticato: la questione meridionale, messa in ombra dalla protesta delle regioni ricche, é cancellata dalla nuova Costituzione. Le minoranze sono imbavagliate e la specialità é ignorata; anche in queste ore nella discussione della riforma costituzionale la specialità rischia di essere svuotata di contenuti e le sue garanzie costituzionali depotenziate".
E quanto al federalismo: "E' sentito quasi esclusivamente come un fatto economico e fiscale, o peggio come il pretesto retorico per affermare un nuovo centralismo burocratico e arrogante. Anche la sfida europea rappresenta un rischio se affrontata su queste basi. Quali politiche di riequilibrio e coesione si realizzeranno? Quali garanzie che lo sviluppo possibile sarà per tutti, e non la causa di nuovi squilibri?"
"Questa è la sfida - ha detto Selis - Come avere coscienza e cultura, proposta e progetto, coesione e iniziativa per vivere l'Unione Europea come opportunità di sviluppo e lavoro? Nei primi 50 anni l'autonomia ci ha dato coscienza e libertà, ci ha liberati del retaggio di antiche servitù. Oggi sta a noi sviluppare cultura e conoscenze, unità e azione".
E poiché, come ha affermato Selis, il futuro non ci verrà regalato, "abbiamo bisogno di unità tra il popolo e le istituzioni, unità tra le forze politiche, unità tra le imprese, unità nei sindacati, unità tra gli intellettuali, unità tra le generazioni, i sessi, unità tra i territori, unità tra Regione ed Enti locali e degli enti locali fra loro".
Gli obiettivi, dunque: "Rilanciare le nostre proposte di riforma della Costituzione che deve garantire la nostra effettiva partecipazione alla vita dello Stato; quindi chiediamo una camera di emanazione popolare a effettiva composizione regionale, paritaria fra tutte le regioni, competente su tutte le scelte strategiche e di politica generale; vogliamo che il problema delle regioni meno sviluppate, del Mezzogiorno, e delle Isole non venga cancellato dalla Costituzione; dobbiamo avviare la riforma dello Statuto perché sia riaffermata la specialità; dobbiamo pretendere il rilancio del Piano di Rinascita secondo l'effettivo spirito dell'articolo 13 dello Statuto: non l'elargizione di risorse marginali".
"Ma la crisi dell'Autonomia non é solo dominanza di aree forti, arroganza di poteri centralistici e burocratici, erosione quotidiana di competenze perpetrata negli anni da Governo, Parlamento -ha aggiunto con uno sguardo critico al nostro interno Selis- ma anche crisi di dirigenza, crisi di cultura e di progetto, crisi di aspirazioni alte, di fiducia in noi stessi e forse crisi di utopia e di sogni. E' il prevalere della politica intesa come angusta amministrazione del quotidiano, condizionata dai particolarismi, conflitti e scambi tra gruppi, corporazioni, territori".
"Abbiamo bisogno di volare tutti più alto - ha concluso Gian Mario Selis - abbiamo bisogno di impegno, studio, lavoro, della partecipazione di tutti, della solidarietà fra tutti. A tutti noi, ai giovani soprattutto, spetta il compito arduo di non cedere alla rassegnazione ed alla resa, di credere davvero di poter fare la storia e non subire il destino".

I particolari aspetti politici dell'autonomia sono stati quindi affrontati dal Capo dell'esecutivo regionale. Il Presidente della Regione, ha affermato l'on. Palomba, rappresenta l'intero popolo sardo ed ha il compito di rispondere alle domande dei sardi e di vigilare sulla tutela dell'istituto autonomistico da parte di tutti, anche dello stesso Stato italiano che ha riconosciuto le nostre forme di autogoverno.
Guardo a questi cinquant'anni di autonomia con spirito sereno e positivo, ha proseguito il presidente Palomba, perché sappiamo che la crescita della nostra terra è un debito nei confronti di una classe politica che ha lavorato e costruito.
Palomba ha poi sottolineato la necessità di combattere i "vizi storici del disfattismo e dell'invidia" per infondere fiducia nel futuro.
Lo Statuto, ha aggiunto Palomba, può e deve essere aggiornato, ma gli strumenti delle nostra rinascita vanno cercati al suo interno. Fino ad oggi, l'applicazione dello Statuto,  se ha dato risorse aggiuntive, non ha rimosso i condizionamenti derivanti da una situazione di secolare arretratezza, ma da ciò deve partire la vera rinascita.
Palomba si è poi soffermato sul protocollo sottoscritto con lo Stato nell'aprile scorso, dal quale deriva il riconoscimento della nostra identità rappresentato dalla lingua e dalla cultura della Sardegna.
Il processo di riforma della costituzione, ha detto ancora Palomba, costituisce un quadro che può portare ad una accelerazione del dibattito sulla forma federale dello Stato, ma questa riforma deve partire dalle basi attuali, senza un arretramento delle posizioni acquisite.
La specialità è figlia dell'identità, ha detto ancora il presidente della Giunta, e l'autonomia è una espressione del nostro diritto a chiedere l'accelerazione dei processi che possano assicurarci parità di cittadinanza nello Stato e nell'Europa, superando i nodi storici del nostro isolamento.
Dopo aver ricordato che l'insularità è riconosciuta come strumento di discriminazione positiva dal trattato di Amsterdam, Palomba ha affermato che la Giunta sta affrontando, con il Consiglio, un programma straordinario per il lavoro, un progetto nato dalla volontà di affrontare la drammatica emergenza che colpisce la popolazione della Sardegna. E per questo programma è necessaria la massima collaborazione.
Concludendo, Palomba ha affermato che dopo i primi cinquant'anni, si apre la seconda stagione dell'autonomia che parte dalla grande riforma dello Stato e dell'Europa, appuntamenti ai quali la Sardegna si presenta con fiducia e dignità.

La seduta è stata, quindi, brevemente sospesa ed i particolari temi delle "Regioni a statuto speciale nel processo di revisione costituzionale" sono stati affrontati, nel corso di un breve seminario di studi, da tre docenti universitari, i professori Guido Melis dell'Università di Roma, Giovanni Pitruzzella dell'Università di Palermo, Gianfranco Cerea dell'Università di Trento.

" Al momento del voto dissi a Pietro Mastino che votavo a favore solamente per evitare che per un solo voto lo Statuto non venisse approvato, neppure così ridotto". Il professor Guido Melis, dell'Università di Roma, ha iniziato con la sconsolata battuta di Emilio Lussu, quasi "un paradossale epitaffio dello Statuto del 1948, una chiave di lettura anticipatamente polemica di quella che sarebbe stata l'esperienza successiva dell'autonomia regionale" il suo intervento su "Storia e prospettive della specialità" la prima delle tre relazioni del breve convegno di studi sull'Autonomia, organizzato dal Consiglio regionale nell'ambito della seduta solenne per il cinquantesimo anniversario dello Statuto speciale della Sardegna.
Ed il professor Melis è partito proprio da ciò che lo Statuto aveva significato, mezzo secolo fa, per i "padri dell'autonomia", una occasione storica per superare la secolare emarginazione e per riaffermare il diritto dei sardi ad essere attori e partecipi della loro storia.
Nelle attese della vigilia, ha ricordato Melis, sembravano fondersi i motivi storici della secolare storia del rivendicazionismo sardo: dal repentino pentimento per la fusione con gli Stati di Terraferma del 1847  alle coraggiose battaglie dei ceti colti dell'isola per il rifiorimento economico e morale, dal malessere delle campagne al nobile sacrificio di una generazione di sardi nella Grande Guerra ed all'ideologia di riscatto espressa dal movimento dei reduci. 
Rispetto a quelle attese lo Statuto segnò, quindi, una brusca caduta. La sostanziale diffidenza dell'Assemblea costituente nei confronti delle autonomie locali, il provincialismo della vita pubblica sarda, la debolezza strutturale della Sardegna e delle sue classi dirigenti portarono, quindi, ad uno Statuto decisamente più debole di quanto previsto ed auspicato dalle menti più illuminate.
Il modello organizzativo scelto dalla Regione, ha aggiunto Melis, ha ricalcato da vicino quello del pur contestato Stato centralista, articolandosi "sugli assessorati come ministeri in piccolo e su una burocrazia prevalentemente tratta dalle file del personale statale". Una Regione priva di progetti generali e tutt'al più erogatrice di risorse. 
Qualche piccolo cambiamento, per il professore dell'Università di Roma, è possibile coglierlo dopo la mobilitazione per la Rinascita, frutto di una imponente iniziativa popolare e del mutato clima politico generale.
La politica contestativa portata avanti da Paolo Dettori impresse una accelerazione al processo di riscatto della Sardegna e  permise alla classe politica di prendere coscienza della validità delle rivendicazioni del popolo sardo. Il fallimento della Rinascita investì anche l'esperienza autonomistica ed, in particolare, "la tenuta o meno dello Statuto". A partire dagli anni Settanta si è assistito, quindi, ad un dibattito intenso ed articolato, al quale hanno partecipato non solamente i politici ma l'intera cultura sarda.
I cinquant'anni dello Statuto cadono in un momento delicatissimo, nel quale grandi mutamenti sembrano investire la struttura complessiva del sistema istituzionale italiano. "L'integrazione europea  da una parte, ha concluso il professor Guido Melis, il trasferimento di competenze alle autonomie dall'altra, depotenzia il ruolo dello Stato nazionale. Grandi processi di integrazione  di incalcolabile portata sono in atto a livello sovranazionale. Forse, dovremmo cogliere l'occasione di questa celebrazione per avviare una riflessione sull'attualità dello Statuto e, con occhi impietosi e realistici, su ciò che è vivo e su ciò che è morto nell'eredità dell'autonomismo sardo del Novecento".

Gli "Aspetti ordinamentali della specialità" sono stati, invece, affrontati dal professor Giovanni Pitruzzella dell'Università di Palermo, il quale si è, in particolare, soffermato sulle originarie ragioni della specialità e sul nuovo ruolo che dovrà essere attribuito alle Regioni speciali.
Il professor Pitruzzella, ripercorrendo il processo che portò alla Carta Costituzionale, ha ricordato come vi fossero precise ragioni storico-politiche per riconoscere alla Sardegna, alla Sicilia, alla Valle d'Aosta, al Trentino Alto Adige ed al Friuli Venezia Giulia assetti istituzionali differenziati, rispetto a quelli delle regioni ordinarie. Ed il docente della Università di Palermo si è soffermato sulle differenze esistenti anche tra i diversi statuti speciali e su come questi siano stati applicati.
Di fatto ogni Regione a statuto speciale ha le sue caratteristiche peculiari ed ha particolarità tali che le rendono del tutto disomogenee.
Le competenze previste dalla Carta Costituzionale, in molti casi particolarmente ampie e  significative, attribuiscono alle Regioni speciali autonomia impositiva, competenza amministrativa, potestà legislativa in molti casi "esclusiva" o "primaria".
Questi poteri, però, come ha ricordato il professor Pitruzzella, in molti casi non sono stati esercitati e le Regioni hanno perso risorse finanziarie, non hanno adottato le norme che avrebbero potuto profondamente modificare il loro status, in alcuni casi non hanno neppure seguito il processo di modernizzazione delle strutture amministrative e burocratiche attuato dallo Stato in quelle ordinarie.
Secondo l'oratore è, di fatto, venuta meno la specialità, si è ridotta la differenza tra potestà legislativa esclusiva e potestà legislativa concorrente che è la principale differenza tra le Regioni speciali e quelle ordinarie.
In molti casi, inoltre, la rivendicazione della autonomia differenziata, che ha caratterizzato le richieste di alcune Speciali, ha  finito col ritardare il processo di riforma istituzionale e di ammodernamento della struttura amministrativa avviata dallo Stato in quei settori nei quali queste istituzioni hanno potestà esclusiva. Così il processo di modernizzazione amministrativa ha trovato attuazione pratica nei comuni e, in misura minore, nelle Regioni ordinarie, mentre non ha prodotto risultati apprezzabili in quelle speciali.
Altri temi di particolare interesse sono quelli dei sistemi elettorali e dei controlli statali ed anche su questi argomenti si è brevemente soffermato il relatore. Mentre gli aspetti legati al finanziamento delle Regioni sono stati approfonditi con cura.
Ma come si inseriscono, attualmente, le Regioni speciali in questa particolare fase di revisione dell'ordinamento costituzionale? Se si passa in rassegna il progetto predisposto dalla Bicamerale, ha detto Pitruzzella, ci si accorge come "non uno dei tratti che originariamente caratterizzavano in generale le Regioni speciali può essere mantenuto come componente di una autonomia differenziata"
Il ribaltamento delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, il regime della finanza locale, specialmente se si opera nell'ottica del federalismo fiscale, indicano come si vogliano almeno "limitare" i poteri di quelle speciali. Ci sono, invece, delle ragioni "forti" che consigliano il mantenimento di questa differenziazione. 
Ed il professor Pitruzzella ha esaminato, con particolare cura, proprio le ragioni di ordine storico, politico-istituzionale, socio-economico che consigliano di mantenere una certa specialità in alcune particolari regioni italiane. Ed ha anche indicato come meglio potrebbe esprimersi questa specialità: "non potendo più fare leva sull'estensione delle competenze o su una forte differenziazione finanziaria, il regionalismo speciale potrebbe imperniarsi sul principio della bilateralità. Ciascuna regione speciale, sviluppando principi già presenti nel proprio statuto ( ad esempio, valorizzando il ruolo delle commissioni paritetiche), instaurerà rapporti diretti con lo Stato, attivando un processo costante di negoziazione, di confronto, di collaborazione". E questi rapporti potranno interessare tutti i diversi aspetti della vita e delle attività regionali, accentuando tra l'altro quel principio di sussidiarietà sul quale deve imperniarsi un corretto rapporto tra lo Stato e le Regioni.
Un principio, ha aggiunto il professor Pitruzzella, che "non implica assetti di rigida e definitiva ripartizione-separazione di competenze nei rapporti tra i diversi livelli territoriali  di governo, bensì assetti mutevoli, elastici, capaci di adeguarsi rapidamente al mutare delle istituzioni e delle esigenze, in modo da assicurare il maggior grado possibile di efficienza e di  efficacia nella produzione dei beni pubblici e la maggior adeguatezza alle esigenze dei cittadini. Ciò che conta, però, è che questi assetti non vengano decisi unilateralmente dallo Stato, come oggi spesso avviene attraverso le leggi di grande riforma economico-sociale, ma siano concordati e definiti consensualmente dallo Stato o dalla singola Regione speciale".
"L'altro aspetto della specialità che è da ritenere irrinunciabile, quali che saranno le scelte costituzionali nei confronti delle Regioni in generale, ha concluso il professor Giovanni Pitruzzella, consiste nella previsione che ciascuna Regione speciale abbia il potere di determinare il proprio statuto, con cui scegliere la forma di governo ed i principi della sua organizzazione, da sottoporre a verifica soltanto per accertare che non contrasti con i principi costituzionali fondamentali".
"Le regioni a statuto speciale di fronte al progetto di riforma dell'ordinamento federale della Repubblica: i profili finanziari" è il tema esaminato dal professor Gianfranco Cerea, del Dipartimento di Economia dell'università di Torino. Un tema di grande  importanza e particolarmente attuale dopo che la commissione Bicamerale ha approvato, lo scorso mese di novembre, una proposta di riforma, in senso federale, della Repubblica ed ha indicato la necessità di realizzare un "sistema di finanziamento delle autonomie, tendenzialmente in grado di garantire un effettivo superamento dell'attuale centralismo".
Il professor Cerea ha, quindi, esaminato alcuni particolari aspetti di questa proposta, sottolineando come siano ben comprensibili le ipotesi che riguardano i comuni, le province e le regioni ordinarie, mentre non siano molto chiare quelle che si riferiscono alle autonomie speciali.
La proposta della Bicamerale, ha aggiunto Cerea, individua forme di finanziamento autonome, basate su tributi ed entrate proprie fissati ed applicati da comuni, province e regioni "nelle forme e nei limiti stabiliti dalla costituzione e dalle leggi approvate dalle due Camere". Questi tributi sono riferibili al territorio regionale ed ad essi si dovrebbero affiancare anche "trasferimenti perequativi" decisi a favore delle regioni con minore capacità fiscale. Con questa impostazione l'impianto costituzionale della finanza degli enti locali e delle regioni appare chiaro, almeno nelle sue linee generali. Sono previsti, infatti, evidenti principi di responsabilità, una sostanziale autonomia nell'uso delle risorse, una certa "protezione" delle stesse modalità di finanziamento.
Il docente dell'Università di Torino si è quindi soffermato sulla ripartizione delle uscite dell'amministrazione centrale e dei comuni, province e regioni sottolineando come a questi enti locali possano essere attribuite spese pari ad un terzo di quelle complessive. Esaminando lo sviluppo della spesa e delle entrate delle diverse amministrazioni, il professore Cerea ha ribadito come " a meno di poco plausibili e rivoluzionarie riforme dell'ordinamento tributario nazionale, le compartecipazioni ed i trasferimenti perequativi continueranno a svolgere un ruolo chiave nella finanza di comuni, province e  regioni".
Questa impostazione, comunque, creerà qualche problema se la spesa dovesse crescere e se gli enti locali non saranno in grado di fare fronte alle aumentate richieste dei loro cittadini. La diversa capacità  fiscale, le esigenze di erogare servizi di un certo livello minimo, la presenza di aree metropolitane e di comuni piccoli o montani che si associano per esercitare meglio le loro funzioni, tra l'altro,  imporranno scelte che potrebbero essere decise dallo Stato, in modo da "compensare" le differenze esistenti tra le diverse realtà del Paese. 
Un quadro nel quale le regioni potrebbero doversi dotare di propri strumenti di finanziamento, per sopperire alle esigenze dei comuni e delle province non in grado di garantire livelli minimi di servizi, proprio per mancanza di adeguate risorse finanziarie.
In questa realtà, che presenta o potrebbe presentare non poche incongruenze, si inserisce il ruolo delle regioni a statuto speciale. Un ruolo tutt'altro che omogeneo, anche per le profonde differenze esistenti tra le diverse parti d'Italia rette proprio da Statuti speciali, che potrebbe portare ad un sostanziale "appiattimento" della "nozione di specialità e del ruolo che la stessa dovrebbe ancora svolgere nel nostro ordinamento".
"Da un punto di vista economico, ha aggiunto il professor Cerea, forse basta sottolineare che il principio della sussidiarietà richiederebbe che, a fronte di culture e realtà diverse, in cui determinate componenti si manifestano in modo più intenso e particolare rispetto a quanto accade nel resto dell'Italia, diversi potrebbero essere anche i livelli quantitativi e qualitativi dell'autonomia. E pertanto nulla, in linea di principio, contrasterebbe con l'idea che in qualche parte del territorio possano essere maggiori le competenze o i gradi di libertà con cui le stesse possono essere esercitate".
Una comparazione tra i diversi Statuti speciali, comunque, mostra come differenti siano le norme previste per le diverse regioni e come diverse siano anche le potestà e le risorse finanziarie che ad esse vengono attribuite. 
Una situazione variegata, destinata a mutare profondamente quando la riforma costituzionale sarà approvata. Perché le regioni dovranno adeguarsi ad un ampliamento delle loro competenze e dovranno colmare l'ampio spazio esistente tra "poteri statutari e poteri effettivamente riconosciuti con norme di attuazione". Un saltò all'insù che imporrà adeguati strumenti di finanziamento, sicuramente diversi per natura ed ammontare rispetto a quelli contenuti nella normativa vigente.
Una realtà che muta profondamente e che, almeno per ciò che riguarda la Sardegna, potrebbe portare alla esigenza di destinare  alla Regione, anche per fare fronte all'ampio decentramento previsto, l'intero gettito dei tributi erariali di pertinenza del territorio locale. In questo caso, ha aggiunto Cerea, se lo Stato riconoscesse alla Sardegna questo diritto, "l'autonomia potrebbe contare su un flusso certo e non negoziabile, in grado di coprire una quota estremamente ampia del fabbisogno di spesa. Accanto a ciò potrebbe poi rimanere in vita il Piano di Rinascita, magari riveduto nei contenuti e nelle modalità  di quantificazione delle risorse".
Una ipotesi sulla quale si dovrebbe lavorare per giungere, in tempi brevi ad un nuovo assetto istituzionale, prevedendo anche un adeguamento dello Statuto regionale alle mutare norme costituzionali. "Credo che le autonomie speciali possano e debbano trovare nella riforma della Costituzione il presupposto per una nuova e più incisiva fase della loro vita, ha concluso il professor Gianfranco Cerea. Nel momento in cui le "ordinarie" diventano "quasi speciali" le speciali dovranno però saper volare alto e guadagnarsi giorno per giorno la riconferma di quanto in più hanno rispetto ad altri, non sul piano dei principi, ma su quello dei meriti e dei risultati".
L'intervento del professor Cerea ha concluso il breve seminario di studi sul ruolo delle Regioni a Statuto speciale ed è ripresa la "seduta solenne" del Consiglio regionale con gli interventi dei Presidenti dei Gruppi.

Per l'on. Montis (Rif. Com.), spesso atti di normale politica sono stati considerati grandi successi di portata storica: ma solo il riconoscimento della cultura e della lingua sarda può essere considerato tale.
Montis ha illustrato le tappe che hanno portato allo Statuto speciale e le battaglie per l'autogoverno, se pur limitato dallo Statuto la cui nascita è stata condizionata dalla situazione politica nazionale di allora.
Montis ha poi condannato le scelte della classe politica che ha governato la Sardegna nei primi decenni dell'autonomia, scelte condizionate dai partiti romani.
Proseguendo nell'analisi storica, Montis ha addebitato all'incapacità politica della classe dirigente una serie di atti negativi che pesano ancora oggi sulla nostra isola.
Pur manifestando un certo pessimismo, ha concluso Montis, non si può non avere un minimo di fiducia che consenta di sperare in un futuro migliore per tutti i sardi.

Il capogruppo del Psd'az Salvatore Bonesu si è chiesto  come mai non siano state celebrate altre due tappe importanti, quali l'infeudazione , da parte di Bonifacio Ottavo, del regno di Sardegna ai re catalani e  la  "perfetta fusione", nell'altro secolo, con il Piemonte: due date che hanno visto il popolo sardo fatto oggetto di altrui decisioni e non soggetto del proprio destino. Ma  la concessione dello Statuto è comunque un fatto in porta nella storia dell'isola, ha detto ancora Bonesu,  perché con esso  la Sardegna ha acquisito  una identità politica ed istituzionale  e la capacità di governarsi. 
Lo Statuto fu  in pratica il compimento delle aspirazioni del movimento sardista  e per esso , attraverso le vicende  della grande guerra  e degli anni del fascismo, molti sardi illustri e meno noti  sono caduti. Tuttavia la carta  autonomistica  non è stata una vera espressione del popolo sardo ma un atto concesso  in un momento  particolare della situazione mondiale (guerra fredda e blocchi contrapposti). Di qui la sua limitata autonomia  rispetto allo statuto siciliano e la riduttività  delle sue capacità in materia di lingua , di banche e credito, di finanza, di zona franca  ecc.. In presenza di questo strumento monco la Regione, anziché avviare subito la contestazione  con lo Stato, si è chiusa  ed ha adottato, ripetendoli, gli schemi centralistici romani.
Ecco perché oggi, a distanza di 50 anni dalla promulgazione dello Statuto, occorre dare risposte forti , cominciando con il restituire al popolo sardo la sovranità nella propria terra  e la reale capacità di decidere del proprio destino.
Bonesu ha quindi parlato della necessità di  dare avvio ad una fase costituente per  costruire una carta autonomistica  che  dia ai sardi la libertà dal bisogno, perché, ha detto,  finche ci saranno centinaia di migliaia di emigrati e di disoccupati  "non saremo un  popolo libero".
Ha concluso affermando che difendere una debole autonomia non ha senso, come non hanno senso  le aspirazioni secessionistiche. Oggi si devono rompere i legami con le servitù e noi non potremo dire "non c'eravamo".

La nostra storia, ha detto l'on. Balia (Fed. Dem.) ha consentito il riconoscimento della specialità sancita dalla nascita della Regione. Ci sono valori da custoridre ed esaltare nel momento in cui si va a riscrivere lo Statuto che deve riconoscere alla Sardegna una più ampia potestà legislativa.
La Sardegna, ha aggiunto Balia, ha poche risorse ma col Governo deve esistere un rapporto alla pari, per contenere il divario che rischia di negare i diritti fondamentali ai cittadini della Sardegna.
Occorre una nuova consapevolezza per tendere a colmare il divario tra Nord e Sud e per dare poi diritti a tutti. La disoccupazione è un problema generale, in Sardegna è arrivata a livelli inaccettabili.
Il diritto al lavoro è irrinunciabile, e senza questo non si può essere cittadini liberi.

"Questa felice ricorrenza- ha detto successivamente il capogruppo di Alleanza Nazionale  Italo Masala - non deve esimerci dal  verificare se l'Autonomia ha raggiunto i suoi obiettivi. Oggi vediamo che i cittadini sardi chiedono ancora lavoro, meno burocrazia, delegiferazione , chiedono di poter produrre senza imbattersi nei lacci e lacciuoli dell'apparato amministrativo regionale. Evidentemente lo stato centralista non ha dato risposte  e la Regione non è stata da meno". L'Autonomia , questa è la conclusione, non è stata vista come  un trampolino per consentire di autogestirsi delegando i poteri agli enti locali. 
Dopo aver detto che neanche la Bicamerale potrà fornirci la migliore  revisione dello statuto, Masala ha detto che   AN ha scelto la strada  della revisione costituzionale, ben sapendo tuttavia che  i risultati saranno frutto di un compromesso. 
Il cinquantesimo anniversario della carta autonomistica deve  segnare  il punto di partenza  per le riforme statutarie . Quindi un impegno importante per il Consiglio e per tutti i parlamentari sardi che dovranno- e dovremo- difendere le ragioni della specialità dell'isola , determinate proprio dallo stato di insularità.
Masala ha quindi detto che  la classe dirigente che ha gestito questi cinquanta anni di autonomia  non è esente da responsabilità e che bisogna augurarsi che l'attuale classe dirigente sia in grado dì trovare e   sostenere le giuste  rilevanze  a tutela della specialità della Sardegna.

Dopo aver ricordato diversi esponenti del cattolicesimo sardo, l'on. Marteddu (PPI) ha sostenuto la necessità di una rilettura critica dell'esperienza autonomistica che ha portato a uno sviluppo distorto che ha lasciato il deserto.
Siamo ad un crocevia della nostra storia, ha aggiunto Marteddu, e si paventano rischi pericolosi per il nostro futuro. La Sardegna vuol diventare isola d'Europa, e ci si deve battere perchè il nostro diventi un Istituto federale, aperto alla fiducia. Domani a Nuoro si apre il nuovo anno accademico che produrrà le prime lauree. Ecco, dobbiamo raccogliere le sfide che vengono dai giovani, ha detto Marteddu che successivamente ha esposto una interrogazione riguardante l'opportunità di un bando di concorso, in lingua sarda, per l'inno della Sardegna presentata nel 1970 dall'allora consigliere Giovanni Lilliu.

La seduta solenne è indubbiamente il modo più efficace per celebrare questa ricorrenza, ha detto  Salvatore Amadu, presidente del Gruppo misto, ma la voce di questa assemblea - si è anche chiesto -  sarà capace di incidere nei lavori della Bicamerale ?  Oggi dobbiamo  tutelare le peculiarità della Sardegna , essendo consapevoli che l'insularità  è la base su cui si imperniano i nostri principi  autonomistici. "Siamo dunque all'inizio di una nuova fase costituente  che è nello stesso tempo una sfida  per tutti noi, una sfida a non far cadere nel nulla le speranze che avevano animato i nostri padri  autonomisti".
Amadu ha proseguito affermando che si deve fare autocritica  e dare segnali forti di impegno se si desidera  far resuscitare quelle speranze. Come politici dobbiamo dichiarare e promettere che saranno finalmente sciolti tutti i nodi che hanno limitato la nostra capacità d'azione  e che saranno impresse svolte decisive nei settori che  più interessano la cittadinanza
Pur dicendosi  dubbioso circa il processo di revisione  in  atto presso la Bicamerale, Amadu  ha sostenuto che  da parte sua ci sarà sempre la massima disponibilità  per lavorare a tutela  dei principi autonomistici dell'isola. "A ciascuno di noi compete, infatti, il dovere  di conferire il proprio apporto a tutti i livelli per contribuire a far sentire alta la voce di questa Assemblea  al fine  di  valorizzare  e difendere  i principali interessi dei cittadini sardi"

L'importanza della odierna giornata è stata sottolineata anche dall'on. Pittalis, capogruppo di F.I., il quale si è chiesto cosa abbia realmente significato per i sardi l'autonomia.
Forse bisogna radicalmente cambiare modo di pensare e di agire, per dare nuove risposte alle mutate esigenze della Sardegna, per ridare vigore alla "Autonomia" che sembra aver perso la sua grande spinta propulsiva.
Il capogruppo di F.I. ha, quindi, analizzato impietosamente i particolari avvenimenti che hanno portato al piano di rinascita, ad una forte rivendicazione di nuova autonomia ed ha ricordato la modernità delle proposte federaliste ed autonomiste di Gonario Pinna, "la bussola culturale alla quale si rifà Forza Italia.
Lo Statuto sardo va cambiato, come deve cambiare la Carta Costituzionale, per permettere ai sardi di decidere il loro futuro e per essere autorevoli protagonisti delle scelte politiche a livello europeo.
Pittalis ha, quindi, auspicato una radicale riforma delle norme statutarie, del regolamento consiliare, delle regole che governano la regione e la vita politica ed amministrativa isolana. Una rivoluzione che deve segnare il vero riscatto del popolo sardo ed il concreto e reale riconoscimento dei suoi inalienabili diritti.

Gli interventi sono stati conclusi dall'on. Cugini (Progr. Fed.) per il quale si deve fare una sintesi dell'esperienza autonomistica. Oggi è necessario un nuovo progetto autonomistico perchè sono cambiate le condizioni, e l'autonomia si pone nuovi obiettivi.
Chiusa una fase storica, la nuova deve partire dai fatti positivi per portarci in Europa.
In Sardegna, ha detto Cugini, molti problemi rimangono aperti, ma gli obiettivi si possono raggiungere difendendo la specialità e aprendo una nuova contrattazione con lo Stato tendente all'integrazione nei popoli europei.
La questione sarda si propone così nella sua vera dimensione, riaffermando il fondamentale diritto al lavoro. Il nuovo manifesto autonomistico deve parlare ai giovani ed effettuare scelte coraggiose con le idee adeguate alla società moderna.
Si deve combattere il centralismo della Regione per avvicinare i cittadini alle Istituzioni, ha detto ancora Cugini, ma un progetto credibile deve partire da un'autocritica per arrivare ad una serie di proposte reali per costruire la vera autonomia per una reale ed effettiva rinascita del popolo sardo.

Il Presidente ha quindi sospeso la seduta ed ha convocato la Conferenza dei Capigruppo.

Alla ripresa dei lavori, il Presidente ha comunicato che, in seguito al dibattito svolto in mattinata, con riferimento ai dibattiti precedenti, la Conferenza dei Capigruppo ha elaborato una proposta di Ordine del giorno, del quale viene data lettura.

L'on. Masala ha precisato che il gruppo di A.N. voterà il documento meno che per un inciso riguardante gli aspetti etnico-linuistici.

Il documento è stato approvato all'unanimità


I lavori del Consiglio proseguiranno
lunedì 2 marzo alle ore 17.30.