Discorso di fine anno del Presidente Selis
nella seduta n. 163 antimeridiana del 20 dicembre 1996

 


Signor Presidente della Giunta, care Colleghe e Colleghi,

A conclusione di un anno difficile e intenso come é stato il 1996 il discorso di fine anno al di là dei formalismi e della tradizione può essere un'occasione per ripensare insieme, il senso del nostro impegno. L'attività di questanno si può riassumere schematicamente in qualche dato:
i progetti di legge presentati sono stati 124, di cui 59 disegni di legge e 65 proposte di legge, 53 le leggi approvate; sono state rinviate 9 leggi di cui 8 sono state riapprovate. Sono state presentate 6 proposte di legge nazionale. Le interrogazioni presentate sono state 255, 106 delle quali hanno avuto risposta scritta; le interpellanze 136 due delle quali svolte in Commissione e 29 in Aula; le mozioni presentate sono state 38 delle quali 16 sono state discusse. Insieme a questi sono stati presentati 5 programmi e documenti di cui 3 approvati; e 6 Regolamenti dei quali 2 approvati.
Per quanto riguarda il lavoro delle Commissioni sono state svolte complessivamente 404 sedute.

Concludendo il messaggio augurale lo scorso anno, ritenendo di interpretare i sentimenti e le opinioni di tanti colleghi, avevo sottolineato la necessità di un nostro più intenso impegno. Sono tornato su questa tema nel corso dell'anno non senza suscitare qualche irritazione e qualche polemica, che vorrei oggi fugare precisando il senso dei miei interventi.
In tempi normali, forse, avremmo ritenuto la nostra attività più che adeguata: oggi essa ci appare talvolta insufficiente a fronteggiare il presente e preparare il futuro. Non è un giudizio sul lavoro dei singoli o dei gruppi, dei quali spesso abbiamo constatato un grande impegno, è un giudizio allarmato e preoccupato sulla situazione che rischia di travolgerci. Una situazione che richiede un impegno politico quasi eroico, capace di generosità e dedizione totale. E' in giuoco non tanto il nostro destino personale e il nostro ruolo, quanto l'idea stessa della politica. Un'idea in pericolo, minacciata dalla sfiducia sempre più diffusa (e forse prima ancora dalla nostra stessa sfiducia nel nostro ruolo.

Di questa sfiducia abbiamo in questi mesi sentito il peso.
Critiche accese, talora impietose, hanno sottolineato i momenti di crisi profonda che abbiamo attraversato. Erano palpabili l'irritazione e il fastidio della gente per una politica avvertita sempre più lontana, talora incomprensibile nei suoi passaggi e nei suoi tempi. Abbiamo sentito la tensione fra società e istituzioni farsi acuta, abbiamo sofferto quasi una lacerazione tra noi e i cittadini.
Di questa sofferenza sono testimone. L'ho vista nell'amarezza di molti momenti vissuti con tanti di voi. Certo come politici abbiamo tante colpe e limiti, ma non l'indifferenza, non il cinismo. Questo Consiglio non conosce questi atteggiamenti: crediamo ancora che la politica possa sostenere e promuovere la crescita e lo sviluppo. Crediamo di poter interpretare l'ansia e le aspettative dei sardi. Per questo ci è stato affidato il mandato politico, di questa speranza dobbiamo essere degni. Questo l'augurio che formulavo l'anno scorso.

Bisogna riconoscere che le tensioni tutto significano, ma non indifferenza. Le critiche tanto più son forti in quanto maggiore è l'attesa della gente nei confronti delle istituzioni regionali. E questa attesa è molto alta: in altre regioni le tensioni i conflitti sociali le aspettative hanno diverse sedi di mediazione e di soluzione. Nella nostra isola la regione è l'istituzione cui più immediatamente si riversano le istanze e anche le speranze del nostro popolo. Certo c'è amarezza, c'è preoccupazione e critica, ma di sicuro non estraneità, non indifferenza.

Dalle istituzioni regionali ci si aspettano soluzioni e risposte immediate ma anche la capacità di rappresentare e far valere gli interessi della nostra popolazione nei confronti dello Stato e del resto del Paese. Se questo, specie di fronte alle difficoltà del momento ci carica di responsabilità, è però per noi, e forse non sempre ne siamo pienamente consapevoli, ragione di forza e quindi di fiducia e di speranza. La nostra società cresce, vive - talora anche con costi elevatissimi - il travaglio del mutamento, della transizione verso la modernità. Nascono nuovi soggetti, culture, aspettative e bisogni. Compete a noi saper cogliere le tensioni, i fermenti che in esso si esprimono, e nobilitarle per farne l'anima e la forza della politica regionale, per affrontare tre grandi sfide.

La prima sfida è la sfida dell'autonomia (che per noi è anche la sfida della democrazia e della politica). La gente ha fiducia nell'autonomia: essa è vissuta come valore, espressione di autogoverno, volto democratico dello Stato. C'è però sfiducia nella sua configurazione istituzionale, nei modi di organizzarsi e di agire, nella classe politica ritenuta talvolta incapace di promuovere riforme e politiche adeguate al momento che viviamo. Proprio nel recupero di un rapporto più stretto ed intenso con la società sta, io credo, la risposta a questa sfida.

L'autonomia crescerà prima e più ancora che per la elaborazione di nuove norme e forme statutarie, per la capacità che avremo come classe politica regionale di associare alle grandi scelte le forze vive della società, di renderle protagoniste dell'autonomia. Su questa base possono muoversi le tre direzioni del rilancio dell'autonomia:

- una più piena partecipazione alle scelte della regione delle autonomie locali, che le renda protagoniste e non già destinatarie dell'azione regionale;
- la ricontrattazione del rapporto con lo Stato;
- un profondo rinnovamento come processo che adegui e ammoderni gli istituti, le strutture, le procedure gli apparati alle reali esigenze di una società moderna e di una più piena democrazia.

Se perdessimo la sfida dell'autonomia perderemmo forse la sfida della democrazia, che è fiducia del cittadino nella politica. E la politica è la capacità di una comunità di generare uno Stato che sia dalla sua parte. Uno stato capace cioè di articolarsi, decentrarsi, incarnarsi nella società. Uno Stato non apparato, non burocrazia, non strumento di gruppi di potere o di classi sociali; uno Stato moderno, agile ma non minimo. Il quale non pretenda di organizzare la vita di tutti, a tutti i livelli sociali. Però uno Stato che non rinuncia ad operare per perseguire un grande ideale storico: garantire a tutti come diritti il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Senza questo la nostra democrazia è incompiuta e la politica sterile, lunità del Paese una finzione.

A questa più profonda unità vogliamo tendere e in essa vogliamo credere, partecipando alle riforme della Costituzione, per tutelarne ed esaltarne i valori ed i principi, per ammodernarne gli istituti, la stessa forma di Stato e di Governo. Il Federalismo allora non può essere visto come anticamera della disarticolazione del Paese, come via per uno Stato debole, ma come forte capacità di autogoverno, e di reale possibilità di partecipazione alle scelte del Paese.
Perciò occorre affrontare la Seconda sfida : lo Sviluppo ineguale.

Uno straordinario progresso scientifico e tecnologico, frutto di accumulazione di risorse e di conoscenze, ha sconvolto modi e processi produttivi, imprimendo all'economia straordinari ritmi di crescita e rendendo il pianeta un unico grande mercato in rapida evoluzione. Sta cambiando anche la stessa geografia dello sviluppo. L'Italia, l'Europa devono fronteggiare questa sfida con una più intensa volontà di integrazione, non solo economica, ma istituzionale, sociale e culturale. Un'integrazione capace, non solo di produrre sviluppo, ma di diffonderlo per promuovere una reale giustizia e una reale libertà.

Questa é la sfida dello sviluppo ineguale: alla crescita di ricchezze, di cultura, di progresso, in alcuni paesi e regioni corrisponde la crescita di precarietà e povertà di altri, che non riescono a soddisfare i propri bisogni fondamentali.
Il risultato è che milioni di persone diventano cittadini dimezzati.
Siamo oggi di fronte a intere categorie sociali, a regioni, a generazioni di cittadini dimezzati. Per affrontare la sfida dello sviluppo ineguale occorrono certo politiche mondiali, europee, nazionali; ma anche più incisive politiche regionali di sviluppo. Politiche in grado di coniugare culture e investimenti e di generare impresa, di mobilitare tutte le risorse materiali, umane, professionali, di attivare tutti i soggetti sociali e istituzionali per garantire il diritto al lavoro su cui si fonda la nostra democrazia e la nostra Repubblica.
Perciò nel giugno scorso, interpretando la preoccupazione diffusa nella nostra regione ed in questo Consiglio avevo richiamato la nostra attenzione su questo problema, sulla sua dimensione, sulle sue cause; l'attenzione su un sistema produttivo che si sfalda e continua a espellere lavoratori, che non riesce a fronteggiare la competitività internazionale, che rischia di non consentire l'ingresso nel mondo del lavoro di intere generazioni.

Siamo dunque di fronte ad un sistema malato, in cui la stessa legittimità delle istituzioni è in pericolo. C'è la necessità urgente di una correzione di comportamenti pubblici e privati. La gravità e la portata del processo impegnano la responsabilità dell'intera classe dirigente, non solo di quella politica.

La terza sfida è una sfida culturale non meno difficile e complessa delle altre. Viviamo un periodo di scarso entusiasmo, persino di pessimismo e di rassegnazione, quasi di resa che ci schiaccia nella quotidianità, che accorcia i nostri orizzonti, le nostre ambizioni, condiziona la ragione, esalta la retorica. Gli slogan sostituiscono i ragionamenti, le urla il dialogo. Gli intellettuali sono assenti, impauriti quando non anche subordinati. Ed il lavoro intellettuale, la ricerca paziente, il confronto rispettoso, l'accumulazione delle esperienze pare una strada abbandonata, perché impervia o spesso non immediatamente produttiva. Abbiamo bisogno di studiare di più, di investire in cultura, di ripartire dalla scuola, dall'Università, dalla formazione professionale. Non é possibile infatti immaginare e pensare la ripresa e lo sviluppo dell'economia della Regione se non si predispone un intervento strutturale a favore della scuola, della formazione, della ricerca.

"Sussiste il rischio che la società europea si divida in coloro che sanno interpretare, coloro che sanno utilizzare e coloro che sono emarginati in una società che li assiste; in altri termini, in coloro che sanno e coloro che non sanno" (libro bianco della Commissione europea, verso la Società cognitiva).

Si configura la possibilità che la Sardegna e il resto del Mezzogiorno, che già vivono una condizione di ritardo, vadano ad ingrossare le file degli esclusi e degli assistiti; per questo si rende necessario ripensare completamente le politiche scolastiche e della formazione per approdare verso la società cognitiva che sola può sostenere lo sviluppo e l'occupazione. Ma la sfida culturale non riguarda solo il sistema scolastico; investe invece più in generale gli atteggiamenti collettivi, la vitalità della società, la capacità delle sue classi dirigenti di indicare un futuro in una situazione che pare non averne, schiacciati come siamo nel presente dell'emergenza quotidiana che pare toglierci la possibilità di guardare oltre.

Occorre che ciascuno faccia ricorso alla propria fede personale, religiosa o laica, per vedere oltre, per avere la forza della profezia e persino dell'utopia; del sogno collettivo che si fa progetto, che indica il senso: cioè il significato e la direzione capaci di generare e stimolare tutte le energie collettive intorno ad alcune grandi idee per le quali vale la pena di credere, lavorare e battersi. Occorre trovare, pur nelle differenze anche profonde che ci dividono, i motivi di unità, di impegno comune intorno all'uomo, alla Sardegna, alle sue speranze secondo una delle più alte e nobili tradizioni della nostra esperienza autonomistica.

Signor Presidente, Colleghe e Colleghi,

credo di interpretare i sentimenti di tutti noi augurando a tutti i sardi, a chi più soffre, chi è nel dolore e nel bisogno un futuro di lavoro, di serenità e di pace. e auguro a ciascuno di noi di essere capace di lavorare con tutte le proprie forze per promuovere questo futuro.

Alle vostre famiglie vada l'augurio più cordiale e più affettuoso e al Segretario Generale e al personale del Consiglio Regionale il nostro ringraziamento e gli auguri più cordiali.

Gian Mario Selis

 


Alla Seduta 163